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cultura · affabulazioni
Troppe variabili incontrollabili, mi dicevo, ci
deve essere qualcosa di impalpabile oltre
la fisica dei corpi, è l’energia che passa in
quei fili, conduttori d’intenzione ulteriore
che muove la catena.
Di Amilcare Caselli
Circa venti giorni fa mi è stato chiesto un
intervento su questo argomento ma ero in
partenza per il
Nepal
che era stato appena
devastato da un terremoto epocale e non
assicurai nulla: ero troppo agitato, indaffarato,
preso totalmente dalla preoccupazione e dal
raccogliere fondi da portare in questo paese
da cui scrivo in questo momento, aiuti per gli
amici e le famiglie e dove negli ultimi anni ho
trovato ragione di vita nuova. Durante il viaggio
e qui in questi giorni continuavo a ripensare a
Barabasi
, a
Milgram
e
Karinthy
, a qualche
loro saggio che avevo letto perché dal 2004
cominciai, anche per lavoro, a interessarmi alle
nuove possibilità del web 2.0, alle reti di ques-
to piccolo grande mondo, ai sei passi che ci
separano e uniscono tutti; ma adesso mi chie-
devo cosa c’entrassero, quale fosse il nesso
con questa confusione di un mondo crollato
nella polvere, in contrasto con lo scintillio delle
reti, delle comunicazioni virtuali.
Fino a due giorni fa poi è stato tutto chiaro.
Ero a
Kathmandu
con il mio socio nepalese,
cercando un Atm, respirando a fatica da diet-
ro la mascherina i 32 gradi e la stanchezza
del continuo terremoto, tra le case spezzate,
la polvere e le urla dei clacson. Esco dalla
banca colpito alla gola dallo sbalzo dell’aria
condizionata e il fuori d’inferno,
Sanukaji
aspettava sulla strada e lì vicino a lui c’era una
ragazza italiana. Quando sei all’estero un tuo
connazionale lo riconosci da qualcosa nei ves-
titi, dall’aria. Aspettava il tuk-tuk e quando ho
chiesto in italiano a Sanukaji da accendere lei
si è girata. Sapevo si sarebbe girata, l’ho fatto
di proposito, i cerini li avevo in tasca.
- Italiano eh?
Sì, e tu volontaria scommetto. (si riconoscono
anche quelli, dall’aria)
- Di Milano, sono qui da novembre, sono con
la ….
Conosco. Gran bel periodo per il volontariato
no?
Fa un’espressione inequivocabile e ci guardia-
mo tutt’e due un po’ sfatti, proviamo a ridere.
Si parla quei 30 secondi, io accendo e lei spie-
ga, annuisco poi dico i fatti miei e lei fa sì con
la testa mentre le squilla il cellulare, parla in
inglese, è l’ufficio. Mette giù.
-boh - mi fa - cercano un italiano che vive qui
da anni, un certo V. V., mi hanno chiamato
sapendo che sono italiana ma… -
Le dico che quel nome mi pare di averlo già
sentito e anche Sanukaj che è guida e parla
italiano mi conferma la stessa sensazione:
- Ma non è l’insegnante di
Dimòn
? - diciamo
all’unisono.
Dimòn è suo nipote e vuole fare la guida per gli
italiani come lo zio.
Sanukaj gli telefona subito e in due secondi
conferma che V.V. è il suo maestro toscano, fa
il cuoco è sposato con una nepalese e vive qui
da 8 anni. Trovato! Incredibile.
Ci siamo guardati e sono sicuro che abbiamo
pensato quant’è piccolo il mondo.
Le diamo il numero, ci salutiamo in fretta che il
tuk-tuk è arrivato, lei ci salta dentro.
-
Tornando a casa Sanukaj guidava lo scooter,
io dietro, la testa voltata di lato dentro un
vecchio casco integrale che attutiva i rumori,
guardavo le case, i passanti, i templi e i carretti
scorrere come fotogrammi di una pellicola
irreale.
Ripensavo a quanto successo e in quanti pas-
saggi fosse avvenuto quel piccolo miracolo:
I parenti di V.V. dopo il terremoto non riescono
a mettersi in contatto con lui che non si fa sen-
tire e chiamano la Farnesina e qualche vecchio
contatto qui. Una chiamata sarà arrivata alla
onlus italiana, la più probabile, che ha telefon-
ato alla nostra volontaria, lei si trovava lì con
noi in quel momento e… insomma, qualche
passo, non più di qualche grado di separazi-
one ci ha unito.
Quel momento è stato emozionante ma ho
iniziato a riflettere sull’apparente casualità
dei passaggi: sulla serie di infinite variabi-
li che l’hanno incredibilmente permesso.
Immaginavo fili sottilissimi eppure resistenti,
invisibili e resilienti che ci legano anche nel
mondo ultrasensibile.
Troppe variabili incontrollabili, mi dicevo, ci
deve essere qualcosa di impalpabile oltre la
fisica dei corpi, è l’energia che passa in quei
fili, conduttori d’intenzione ulteriore che muove
la catena.
Chi disse che un battito di ali di farfalla in
Nuova Zelanda
può causare una tempesta
dalla parte opposta del mondo? Se è vero,
com’è vero, allora può causare anche la
pioggia nel deserto. Dipende dall’energia di
quel battito, dall’intenzione quel gesto. Dalla
polarità di odio o di amore con cui si applica
tale energia.
E come non pensare che io sia il risultato di
questi energici fili tesi che mi legano al resto
del mondo. Anzi, che proprio questo sia il
mondo. Un corpo di fili e snodi connessi
in continua tensione di atomi e particelle
infinitesimali e continuamente polarizzate che
suonano il rumore bianco, la frequenza di
fondo dell’universo.
Quante volte ho pensato che mi è successa la
tal cosa perché tirando quel filo, quella stessa
tensione, quella stessa intenzione, fa un giro
immenso ritornando le vibrazioni nello stesso
attimo.
E come non essere sicuri, nello stesso modo,
che ciò accada nell’ultrasensibile, al di là del
corpo e del tempo, nell’energia dell’amore e
dell’odio, nelle certezze e nelle paure di cui
siamo fatti, che vibrano, viaggiano e tornano.
Come non essere certi che siamo la stessa
carne del mondo e che quell’Uomo nero che
fugge su un barcone, nemmeno è mio fratello
ma sono io davvero, io stesso nella carne e
nelle intenzioni e che la paura o la fiducia,
l’amore o l’odio che ho per lui è lo stesso
amore, lo stesso odio, la medesima paura o
fiducia che ho di me, del mondo.
Come non essere certi che siamo
la stessa carne del mondo?