Itaca n.3 - page 7

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carcere e storie · ossimori
È semplicemente Ama Terra.
Di Valentina Sguigna
.
C’è un angolo tra le colline di Collecchio a
Casa Ama che da un po’ è diventato il cuore
pulsante e fervido di grandi contadini. Una
grande, a volte smisurata ed immensa fatica
accompagna questi uomini, non pienamente
coscienti che grazie al loro lavoro, al loro
sudore, arrabbiature, gioie, risate, riposi, chi-
acchiere nascoste tra i campi, dalla nostra
terra prenderanno vita.
Tante meraviglie, ai più conosciute, ma per
qualcuno di profonda scoperta e sorpresa.
Già la nostra terra. Di aspetto veramente poco
invitante, da non darle “un soldo di fiducia”,
direi quasi ciottolosa e bianca come fosse
argilla asciugata al sole di giugno, e quasi
modellabile come pasta da gioco per bambini,
al primo acquazzone. Qualcuno un giorno ci
propose di creare oggetti in creta!
Per i contadini di Ama Terra sarebbe tutto più
semplice raccogliere argilla e creare oggetti in
un semplice, laboratorio tra quattro mura, ma il
risultato non sarebbe di certo lo stesso, l’origi-
ne non sarebbe di certo la stessa! Considerare
la terra come una madre accogliente, il bene
comune e inalienabile della comunità intera
che ci aiuta a riappropriarci della nostra iden-
tità di esseri umani, da tutelare giorno dopo
giorno, la terra come le nostre identità, le
nostre origini. Perché la terra ci dà vita e noi
siamo vita. Le più alte menti pensanti danno
disparate definizioni del fenomeno del ritorno
alla terra: si parla di un’ economia che apporta
la vita, di democrazie ecologiche, di economia
della natura e di economia di sussistenza.
Ogni anno si celebra la giornata mondiale
della Terra, e per un fortuito caso, nella gior-
nata mondiale della terra 2015 mi chiedono di
scrivere per Itaca. C’è poco da scrivere. Tutto
ciò per noi è alzarsi con il sole cocente o con
il freddo gelido, inzupparsi dalla testa ai piedi
sotto la pioggia invernale, scottarsi al sole e
essere divorati da insetti fastidiosi, seminare,
zappare, dimenticare per ore e ore l’impianto
di irrigazione aperto e sentire le urla di qualcu-
no, o anche dimenticare di innaffiare, quando
le nostre piantine hanno molta sete, è veder
svanire un progetto per una pioggia inattesa
o per un insetto pericoloso, è riconoscere un
animale malato, accudirlo, rassicurarlo mentre
ti chiede aiuto con i suoi occhi che parlano,
è vedere nascere nuove vite, è riappropriarsi
di una nuova identità, di un nuovo gruppo, di
una nuova casa, di una nuova famiglia, è fare
e disfare, è lottare continuamente per avere
un raccolto dalla terra, dalla vita. È semplice-
mente Ama Terra.
Di
Francesco Cicchi
.
Ho nostalgia della vita, del suo concepimento,
della sua gestazione.
Della nascita no! - Lì è iniziata la mia soffer-
ta attesa. Non so, se sono frutto di un atto
d’amore, non so nemmeno chi era mio padre.
Mia madre mi ha abbandonato dopo nemme-
no un mese dalla mia nascita.
Sono tossicodipendente senza esserlo mai
stata, sono nata in astinenza, ho scoperto
il dolore fisico già nei primi attimi della mia
nascita. Ma è nulla, rispetto a ciò che si prova
ad essere figlia di nessuno. Da quando sono
stata abbandonata, passo da una faccia all’al-
tra, si proprio così, facce, non volti, non mi
viene dato il tempo di definire chi mi guarda.
Tanti si prendono cura di me per qualche
ora, fanno i turni. Io sorrido a tutti, come
quei bambini dei vecchi orfanotrofi, dove si
sorride ad ogni famiglia che viene a far visita,
nella speranza di essere scelti o, come quei
minori stranieri non accompagnati, che sono
lì sulla banchina di un porto qualsiasi, provati,
traumatizzati, comunque sorridenti nella sper-
anza che uno sguardo di tenerezza li accolga.
Anch’io spero che qualcuno un giorno mi
scelga, come un prodotto di uno scaffale qua-
lunque , in un supermercato qualunque.
Non piango quasi mai, sarebbe controprodu-
cente, è meglio sorridere, quando ti guardano,
o ti parlano, così disturbi meno. - A soli otto
mesi sono già costretta a sopravvivere.
Gli adulti pensano che io non capisca, “è
troppo piccola per capire, non soffre”. Non c’è
pensiero più sbagliato, se una cosa succede è
successa per sempre. Noi siamo il frutto della
nostra narrazione, di ciò che viviamo o di ciò
che ci è negato. Siamo trama e senso.
Io sono Pietra, avrei bisogno dell’attaccamen-
to, avrei necessità di un’ iniziazione alla vita,
sono principiante in tutto, eppure sono già al
di là di ogni inizio.
Ho otto mesi e provo nostalgia del mio con-
cepimento, mi chiedono pazienza, pazienza
affinché un tribunale decida, mi chiedono
pazienza nell’attesa di risposte che non sono
in grado di vivere.
Per questo ho nostalgia di ciò che è gestazi-
one, è li che abitano i sogni, è lì che si svolge
e riavvolge il respiro di ciò che sarà.
Io Pietra non ho un’ombra, sono la mia ombra.
Lavorare la terra
Giorno per giorno.
Pietra.
Essere un ossimoro
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