Itaca n.3 - page 4

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attualità · Il mondo piccolo
Il nostro mondo è quello delle relazioni so-
ciali, dei deboli, dei fragili, dei sogni appa-
rentemente irrealizzabili, dei progetti eco-
nomicamente perdenti, ed è partendo da
questa rete ed attraverso queste lenti che
vogliamo connetterci con tutto quello che
accade e raccontarlo.
Nel 1929,
Frigyes Karinthy
, nel racconto “
Ca-
tene. Racconto breve di viaggio intorno al
mio cranio
” ha un’intuizione che sarà poi alla
base di diversi importanti studi e conseguenti
teorie sociologiche. Nel suo racconto, Karin-
thy evidenzia un processo paradossale appar-
tenente al nostro secolo: se,
Giulio Cesare
non avrebbe raggiunto un azteco neppure in
cinquecento passaggi, oggi chiunque raggiun-
ge chiunque, ecco dunque che “qualcosa si re-
stringe e diventa più piccolo (il nostro mondo)
e qualcos’altro si allarga e diventa sempre più
grande (la rete delle connessioni)”
La teoria del mondo piccolo, da intuizione let-
teraria, si trasforma in teoria sociologica grazie
ad un esperimento dello psicologo americano
Milgram attraverso il quale dimostrò che ognu-
no su questo pianeta è separato dagli altri solo
da sei persone o sei passaggi. Io sono dunque
legata a chiunque altro nel pianeta -un abori-
geno o un peruviano- da una catena di sole
sei persone.
Ognuno di noi è una porta spalancata su altri
mondi.
Così il pensiero profondo che sta alla base
della teoria del “mondo piccolo” diventa il no-
stro modo di intuire
l’attualità
intesa come la
fitta rete di connessioni tra fatti, persone, mo-
vimenti a noi collegati da sei o meno gradi di
separazione.
Il nostro mondo è quello delle relazioni sociali,
dei deboli, dei fragili, dei sogni apparentemen-
te irrealizzabili, dei progetti economicamente
perdenti, ed è partendo da questa rete ed at-
traverso queste lenti che vogliamo connetterci
con tutto quello che accade su questo pianeta,
e raccontarlo a modo nostro, dal nostro pun-
to di vista. E magari, con sorpresa, accorgerci
che, partendo dal punto più piccolo della so-
cietà attraverso sei soli gradi di separazione,
arriveremo al punto più alto, perché graffiando
un po’ la superficie il vero motore che sta alla
base del pensiero di Karinhy è “…come arriva-
re, attraverso due, tre, al massimo cinque gradi
di separazione a un contatto tra le piccole, re-
lative, transitorie cose della vita e l’assoluto e
l’eterno; tra il tutto ed una sua parte” laddove,
per noi, l’assoluto e l’eterno sono rappresentati
dall’etica e dai diritti dell’umanità intera.
Il mondo piccolo
Ogni processo di uscita da trappole di
miseria e di indigenza comincia sempre dal
valorizzare quelle dimensioni di ricchezza e
di bellezza presenti in quei “poveri” che si
vorrebbero aiutare.
Di Luigino Bruni
Le povertà non sono tutte uguali, e non sono
tutte “cattive o mali”. Ci sono parole che
dicono sempre e solo negatività: menzogna,
razzismo, omicidio. La povertà non è tra
queste, perché accanto alle “povertà”, ce ne
sono altre - quelle di
Francesco
, di
Gandhi
,
di molti poeti e di uomini giusti - che se
dovessero essere estirpate dalla terra la
lascerebbero molto impoverita. Quando si
parla di povertà intesa come deprivazione ed
esclusione, quindi quella ‘cattiva’, dobbiamo
tener presente che questa è prima di tutto
un’assenza di “capitali” che impedisce la
generazione di “flussi” (tra cui il lavoro e il suo
buon reddito) che ci consentono poi di svolgere
attività fondamentali per vivere una vita
degna, e magari bella. Se guardiamo le tante,
crescenti, forme di povertà non scelta e subita
nelle quali si trovano intrappolate le persone
(ancora troppe nel mondo, e ancora troppe
donne, troppi bambini, tantissime bambine),
ci accorgiamo, o dovremmo accorgerci, che le
situazioni di indigenza, precarietà, vulnerabilità,
fragilità, insufficienza, esclusione, sono il frutto
della mancanza di capitali non solo e non tanto
finanziari, ma relazionali (famiglie e comunità
spezzate), sanitari, tecnologici, ambientali,
sociali, politici, e ancor più educativi, morali,
motivazionali, spirituali; carestie di philia, di
agape. Questo vale per le povertà antiche (di
pane, di cibo), e ancora di più per le nuove
povertà: quando una persona finisce nel giro
dell’azzardo è quasi sempre privato di capitali
relazionali, motivazionali, educativi. Per capire
allora quale tipo di povertà sperimenta una
persona che viene definita povera (meno di 1
o 2 dollari al giorno), sarebbe fondamentale
guardare ai suoi capitali. E a quel livello
intervenire. Potremmo così scoprire che vivere
con due dollari al giorno in un villaggio con
acqua potabile, senza malaria, con una buona
scolarizzazione di base, è una povertà molto
diversa da quella in cui si trova chi vive con
due (o anche 5) dollari al giorno, ma che questi
capitali non possiede, o ne possiede di meno.
Quindi ogni povertà è qualcosa di diverso
dall’assenza di denaro e di reddito, come
possiamo vedere anche nei casi drammatici
quando perdiamo il lavoro e non ne troviamo
un altro perché non siamo in possesso di
“capitali” che sarebbero fondamentali (aver
appreso negli anni giusti un mestiere). I capitali
delle persone e dei popoli, quindi le ricchezze
e le povertà, sono sempre intrecciati fra di
loro. Alcuni capitali, ricchezze e povertà, sono
più decisivi per la fioritura umana, ma, tranne
casi estremi (anche se rilevantissimi), nessuno
è povero al punto da non avere anche qualche
forma di ricchezza.
Ogni processo di uscita da
trappole di miseria e di indigenza comincia
sempre dal valorizzare quelle dimensioni
di ricchezza e di bellezza presente in quei
“poveri” che si vorrebbero aiutare
. Ci sono
molte povertà dei “ricchi” che potrebbero
essere curate dalle ricchezze dei “poveri”,
se solo si conoscessero, si incontrassero, si
toccassero.
Le povertà non sono tutte uguali
People - Lara Pignotti
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