Itaca n.3 - page 19

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spiritualità
La verità è che se oggi ti viene augurato, in
vista di un evento importante, un “in bocca
al lupo”, ti stanno dicendo che essere
nella mia bocca è come essere protetto e
guidato da uno spirito forte e coraggioso
come il mio.
Di Melania Alessandrini
Raccontano che, un giorno il mio stomaco
si contorceva. E lo faceva cosi tanto che fui
costretto ad avvicinarmi ad una casa al cui
interno, allettata, una vecchia, nella lunga
attesa della piccola nipote.
Dicono che, in preda alla fame e alla cattiveria,
io abbia mangiato la povera signora, che mi
sia vestito dei suoi abiti semplici e riposto nel
letto ad attendere l’arrivo della bambina. Si
narra, che una volta arrivata, nonostante il suo
sorriso, i capelli biondi lucenti e le guanciotte
rosse dopo una lunga passeggiata, abbia
aperto le mie cattive fauci, per metter dentro
lo stomaco anche lei. Si dice che poi, un uomo
valoroso, che di vesti da cacciatore vagava,
mi abbia sparato per salvare le due creature
dalla mia pancia ormai piena. Questo è quello
che l’uomo, divenuto ormai essere colto ed
istruito, volle scrivere con china su un pezzo
di carta, facendo di me l’immagine del Lupo
Nero, dell’essere diverso di cui avere paura, del
saturo di cattiveria.
Lo stesso uomo che ha dimenticato la nostra
antica amicizia. Che ha dimenticato quanto
siamo stati diversi ma cosi vicini, che ognuno
di noi ha avuto paura dell’altro. Questo
succedeva perché non ci conoscevamo. Ci
spaventava ciò che di differente c’era nel
nostro comportamento e che di conseguenza
non comprendevamo. Ma io, lupo nero, un
giorno mi sono fatto coraggio e ho approfittato
degli avanzi di cui l’uomo era già sazio. Cosi
abbiamo iniziato a conoscerci, a rispettarci, a
condividere e vivere nello stesso luogo.
Abbiamo guadagnato entrambi dalla nostra
vicinanza, anche se era impensabile che due
mondi tanto lontani potessero convivere cosi
vicino. Ed è stata proprio la nostra diversità a
renderci cosi forti ed imbattibili, a completarci.
La verità è che la Terra era cosi grande. Che
c’era posto per entrambi. La verità è che se
oggi ti viene augurato, in vista di un evento
importante, un “in bocca al lupo”, ti stanno
dicendo che essere nella mia bocca è come
essere protetto e guidato da uno spirito forte
e coraggioso come il mio. Proprio come faccio
con i miei cuccioli, spostandoli di rifugio in
rifugio, proteggendoli dai pericoli.
Purtroppo l’uomo però, ha perso la voglia
di scavare in profondità delle cose, la sua
curiosità è troppo spesso pigra. Cosi rimane
nella diversità. E mantiene la paura del Lupo
Nero. Cosi continua a rispondere “crepi il lupo”.
Tutto sta nell’occhio di chi guarda e nella
sua volontà di andare oltre ciò che appare
come stonato, diverso e quindi pericoloso.
Il buon Aristotele proponeva la Concordia
come rimedio ai mali della polis, ma questa
non era destinata a tutti; era destinata agli
amici ed ai liberi escludendo gli stranieri, i
“barbari”.
Di Mario Giostra
L’Uomo nero è l’inquietante personaggio che
abitava le paure della mia infanzia; instanca-
bile alleato di mia nonna, si nascondeva negli
anfratti più bui della casa, pronto a ghermirmi
qualora non avessi mangiato i miei odiati
spinaci. Sempre in tema di ricordi, rammento
un omonimo gioco: l’Uomo nero era una par-
ticolare carta e chi alla fine non era riuscito a
sbarazzarsene e rifilarla agli altri aveva irrime-
diabilmente perso la sfida. Ma come spesso
accade nei giochi infantili, non stiamo narran-
do un semplice passatempo. Siamo di fronte
alla rappresentazione ingenua di una realtà
interiore; una sorta di archetipo o se voglia-
mo, un “idealtipo” antropologico. L’uomo nero
esiste ed è sempre esistito. È “l’altro da noi”;
è colui che non riusciamo a comprendere e
che alimenta le nostre paure. Rappresenta una
minaccia costante di cui sbarazzarsi come nel
gioco, da cui prendere le distanze e sulla quale
proiettiamo le nostre frustrazioni. È una pre-
senza subdola, ostile, che ci spaventa. Spesso
lo percepiamo troppo vicino e ci appare come
una sorta di “nemico della porta accanto” che
con la sua incomprensibile diversità osa dis-
turbare la quieta tranquillità dei nostri sogni.
È il “difforme” che trova rifugio al di fuori dei
confini dell’Io; in quel limen che si colloca oltre
le rassicuranti mura della domus che abbiamo
edificato a protezione delle nostre improbabili
certezze. L’Uomo nero ha molte identità: è lo
straniero, il barbone, il “vu cumbrà”, il viados,
il tossicodipendente: tutto ciò che percepiamo
come minaccioso e che innesca una vera e
propria metamorfosi della paura dove l’incom-
prensione lascia spazio alla provocazione. Egli
cambia continuamente nome; man mano che
le situazioni evolvono nuovi nemici si affaccia-
no all’orizzonte: lo scafista spietato che getta
in mare quella “povera gente”, il cinese che
sfruttando i suoi stessi “fratelli “ammazza” il
mercato e crea disoccupazione. Potremmo
continuare all’infinito. Chi è quindi l’Uomo
nero? - Siamo riusciti ad attribuirgli diverse
dimensioni che possono essere riassunte in
un’unica idea: Egli è colui che ci invade con la
sua diversità e ci spaventa inibendo la nostra
capacità di accogliere ed amare. Accogliere? -
Facile a dirsi. Dal nostro punto di vista vuol dire
spogliarsi delle proprie strutture per far spazio
all’alter, al suo mondo, alla sua particolare
capacità di voler bene. Nell’incipit di questa
rubrica abbiamo descritto un amore che non
conosce alcuna forma di discriminazione ed
è questa la strada che dobbiamo perseguire.
Ciascuno di noi, giornalmente, ha a che fare col
suo particolare uomo nero e come nel gioco,
vorrebbe sbarazzarsene o relegarlo altrove.
Ma è sufficiente guardare con occhi diversi ed
ecco che magari lo scafista cattivo diventa un
poveretto senza soldi, colpevole soltanto di
saper guidare una barca e a cui è stato offerto
il viaggio gratis se condurrà in Italia un gruppo
di malcapitati come lui. Tutto sta nell’occhio di
chi guarda e nella sua volontà di andare oltre
ciò che appare come stonato, diverso e quindi
pericoloso. Il buon
Aristotele
proponeva la
Concordia
come rimedio ai mali della polis, ma
questa non era destinata a tutti; era destinata
agli amici ed ai liberi escludendo gli stranieri, i
“barbari”. Le cose nel tempo non sono miglio-
rate: anche noi, oggi, abbiamo i nostri barbari
colpevoli di non integrarsi ed immeritevoli del
nostro amore. Li giudichiamo in modo a volte
scontato giustificando il nostro disprezzo e la
nostra intolleranza attraverso la rassicuranti e
subdole categorie dell’ovvio. Dimentichiamo
però troppo spesso una sconfortante evidenza
che vorrei sottolineare attraverso una banale
riflessione: ogni volta che ci rifugiamo nel caldo
tepore delle nostre case, che usiamo i nostri
cellulari, i nostri computer sempre più veloci e
le nostre comodissime automobili, utilizziamo
materie prime che provengono proprio da quei
paesi che ora ci stanno “invadendo” coi loro
barconi mal galleggianti. Parliamo di migliaia
di minacciosi uomini neri che ci rubano spazio
ma in realtà sfuggono da uno sfruttamento
selvaggio al servizio del nostro benessere. Ce
ne dimentichiamo troppo spesso e siamo lì,
nell’ombra, pronti a giudicare ed a continuare
a sfruttare ghermendo letteralmente la felicità
di questi nostri fratelli. E allora viene proprio da
chiedersi: “Chi è l’Uomo nero?”
Chi è
l’Uomo nero?
C’era una volta “crepi il lupo”
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