Itaca n. 5 - page 12

spiritualità e dintorni
Il sacro
contemporaneo
di Giuseppe Frangi
Spiritualità e dintorni è il tema che mi è
stato assegnato per questa rubrica. E
chiedo in partenza perdono, se piuttosto
che per la spiritualità confesso di avere
più interesse per i dintorni.
Spiritualità l’ho sempre intesa come dimen-
sione un po’ nebulosa, come un indistinto in
cui la vita assume un profilo quasi incorporeo.
È categoria per anime di prima classe, che
sottolinea una qualità di esistenza propria di
pochi. Quando sento la parola spiritualità sul-
la bocca di una persona mi sembra di sentire
un suono senza sostanza; un flatus vocis. E
mi viene sempre l’indomabile sospetto che
spiritualità nasconda alla fine un’aspirazione
ricattatrice: quella per un’esistenza purgata
da ogni scoria.
I “dintorni” invece sono proprio il regno del-
le scorie; l’insieme immenso di tutto ciò che
resta a terra. Rispetto al suono fluido della
spiritualità, i dintorni sono il rumore roco della
vita. Può sembrare semplicistica e un po’ ute-
rina questa contrapposizione, e certamente
lo è. Del resto nei “dintorni” non si conosco-
no molto le buone maniere, né le distinzioni
sofisticate. I pensieri sono sempre diretti e a
volte anche brutali, come per un’incapacità a
comunicare per sfumature.
Ma la differenza fondamentale tra la spiritua-
lità e i “dintorni” è assolutamente un’altra.
Nella spiritualità, a dispetto delle apparenze,
il percorso e la meta sono già tracciate: i conti
tornano sempre. Nei “dintorni” regna invece
l’imprevisto e i conti difficilmente tornano. La
spiritualità conosce ciò verso cui tende; ha
familiarità con il traguardo. I “dintorni” inve-
ce sono sempre presi alla sprovvista da una
forza che in ogni istante li sommuove. Quelli
della spiritualità pensano che questa forza
sia solo istinto di sopravvivenza, che porta a
scelte senza consequenzialità logiche e quin-
di imprevedibili. In realtà il loro è uno sguardo
un po’ supponente. È uno sguardo che non
vede.
Perché ciò che scuote e sommuove i “dintor-
ni” è un’energia, per la quale non ci sono né
aggettivi né parole adeguati: forse la parola
meno inadeguata è “attrattiva”. Attrattiva ver-
so le cose, attrattiva tra le persone, attrattiva
anche nei confronti del proprio destino. Lo si
potrebbe chiamare anche “amore” non fos-
se che questa parola è stata svuotata pro-
prio dal lessico della spiritualità. L’attrattiva
è quel sentirsi battere forte il cuore in petto
nel momento in cui un nuovo compagno di
strada si affianca nel tuo cammino. Attrattiva
è quella energia che fa dell’uomo una crea-
tura sempre in relazione. Attrattiva è ciò che
accende le amicizie e ciò che rende sponta-
nea la solidarietà. Attrattiva è lo svelamento
che fa cadere innamorati. È ciò che muove
una mano nel momento in cui si alza per fare
a chiunque e in qualunque situazione, una
carezza. Mi viene da pensare che l’attrattiva,
questo legante che riempie il cuore dell’uomo
di desiderio verso l’altro, sia in fondo il pale-
sarsi dello “spirito”. Del resto persino Dio ha
voluto immaginarsi non come essere assolu-
to ma come essere in relazione: Padre, Figlio
e Spirito. Dio certamente si trova a casa sua
nei “dintorni”.
di Giuseppe Bacci
L’arte contemporanea è strumento eletto di
una nuova evangelizzazione. Nel percorso sto-
rico che ha riportato il dialogo ecclesiastico ad
un’apertura nei confronti del linguaggio delle
immagini, è stato determinante il ricorso alla
tradizione patristica e, in particolare, al Con-
cilio di Nicea II (787) che, trattando del pro-
blema delle sacre icone, dichiarava che “l’arte
cristiana, quasi come la Bibbia, è il mezzo più
efficace per la comunicazione della rivelazione
della fede”. Essendo l’arte utile alla missione
della Chiesa, è cresciuta, attraverso i secoli,
la necessità di esprimere il culto divino con i
linguaggi della contemporaneità. Gli autentici
creatori del linguaggio sono i grandi pensatori,
gli artisti, i poeti. Il linguaggio (considerato in
tutte le sue forme di espressione, dalla parola
all’immagine, dalla musica al corpo...) è sem-
pre molto più ricco delle singole parole che lo
compongono. Perciò l’interprete deve ricerca-
re il senso profondo e nascosto del linguaggio
dietro la povertà delle parole, dei gesti, dei se-
gni... Avendo il linguaggio un valore creativo,
finché l’uomo non definisce una cosa essa non
esiste, l’uomo è il “pastore dell’essere”. Ma
l’essere è storico come l’uomo e quindi cerca
di trovare espressioni nuove. Forma e conte-
nuto non sono entità disgiunte: l’artista ci co-
munica la verità dell’essere trasferendola nella
forma. Nelle opere d’arte dobbiamo vedere
il mondo che ci si rivela mediante esse. Non
siamo noi a dover giudicare un’opera d’arte,
ma è essa che deve interrogare noi, la nostra
visione del mondo, la nostra autocomprensio-
ne. L’artista trasferisce la sua comunicazione
nella forma. Spesso proprio la divisione tra
aspetto esteriore e contenuto sostanziale crea
dei meta-contenuti appetibili, ma di tutt’altra
natura, contribuendo, così, alla massificazione
del gusto. La Chiesa deve confidare, quindi, in
un’arte autentica, che non inganna l’intelligen-
za attraverso i sensi, ma, al contrario, questi
devono incentivarla: i sensi si coniugano all’in-
telligenza, per cui è impensabile separare la
forma dal contenuto. Oggi l’arte a servizio del
racconto ha perduto la sua ragion d’essere.
L’arte moderna possiede una potenza espres-
siva come non mai, forse proprio in forza della
liberazione dal dovere di raccontare. All’arte
non si richiede più illustrazione né celebrazio-
ne, ma un suo specifico contributo alla com-
prensione. Grandi artisti si sono interessati del
sacro ed hanno creato autentiche opere d’arte
sacra. Esse però non sono sempre fruibili dai
fedeli nelle chiese, ma sono nei musei o nei
laboratori. Uno degli obiettivi dell’arte sacra
contemporanea è quello di rappresentare un
percorso antropologico, catechetico e litur-
gico distribuito anche negli spazi esterni ed
interni dei complessi santuariali. In questo
modo, gli osservatori, siano essi credenti o
non credenti, non devono immaginare l’opera
in contesto, ma possono ammirarla immersa
nello scenario naturale dei sacri edifici, che, da
semplice contenitore conservativo, si trasfor-
mano in laboratorio progettuale che tiene in
vita la memoria dell’attualità lasciandola scor-
rere tra passato e futuro.
Omar Galliani, Risurrezione, pala d'altare per il Santuario di San Gabriele, 1998-99, grafite su tavola, cm 400 x 400
Dio certamente si trova a casa sua nei dintorni
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