attualità
•
il mondo piccolo
Scintille di decrescita e d’anarchia
di Alessandro Pertosa
Per sottrarsi al dominio dell’uomo sull’uomo e
dell’uomo sulla natura è necessario superare
l’
oikonomia
, non riformarla. Sulla scia di que-
sta affermazione, sostengo da qualche tempo
che il tramonto dell’economia consentirà alla
nuova alba di illuminare quell’utopia che chia-
mo eutéleia (che vuol dire frugalità, far bene
nella misura, semplicità, parsimonia, a buon
mercato)
1
. Si tratta di un nuovo mondo, di un
orizzonte che qualifica le relazioni in senso fra-
terno e conviviale… L’
eutéleia
è sempre stata
lì! Non è un’invenzione, un’elaborazione men-
tale o un pensiero esoterico la cui rivelazione è
riservata a una casta di iniziati, ma appare
solo a chi è in grado di cogliere il destino della
notte che incombe, col suo carico di miseria e
di violenza. Gli altri non la vedono, restano cie-
chi dinanzi al chiarore dell’alba che si profila
all’orizzonte e preferiscono continuare a muo-
versi come marionette nelle mani del potere
piuttosto che fissare la luce. Prima lontana,
poi sempre più vicina, appare come una scin-
tilla che giunge in fretta a rischiarare lo spazio
umano liberato dal dominio. Ma il chiarore che
emana è solo un parziale cominciamento di un
lungo percorso ancora da compiere. All’inizio
è un flebile palpito che ondeggia. E, per quan-
ti sforzi possa fare, quel chiarore stenta, tre-
mula, quasi come se avesse paura di manife-
stare al mondo la gloria pacificante della con-
divisione fraterna. L’
eutéleia
è una luce oppor-
tuna, è una luce che giunge a salvare l’essere
dai tentacoli del nulla, è una luce che esprime
la gioia del non-potere, e nel mostrarsi si ritrae
– come se volesse indicare il valore dell’as-
senza – per tornare poi più luminosa di prima:
e ogni volta il bagliore si fa sempre più forte,
stabile, concreto. È questo il motivo per cui
all’inizio tentenna, ma si tratta solo di farci l’a-
bitudine. Così come quando il bambino co-
mincia a camminare. Al primo tentativo in-
ciampa, poi poco a poco affila un passo dietro
l’altro, e comincia a correre, e corre, corre a
perdifiato sempre più sicuro di sé. Lo stesso
avviene a quella luce che in un primo momen-
to se ne resta, ai nostri occhi, timida e lontana,
si scorge a sprazzi, vibra come un balenio ef-
fimero, passeggero, flebile, o un chiarore ap-
pena accennato. E in tal senso, appunto, que-
sta luce è del tutto utopica, è un progetto
in
fieri
, è la proiezione di un desiderio conviviale,
è una proposta rivoluzionaria, anarchica e de-
crescente, capace di ripopolare l’immaginario
di visioni comunitarie, solidali e condivise.
Senza dubbio l’
eutéleia
è questo, ma anche
molto altro. Perché ogni singolo Io, dal suo
soggettivo punto di vista sulla realtà – e si
badi, il punto di vista di chi
abita
lo spazio
eu-
teleico
è il punto di vista di colui che guarda la
realtà con gli occhi dell’ultimo fra gli ultimi –
aggiungerà di volta in volta, a questo progetto
di liberazione dal dominio, un tassello nuovo,
un aspetto originale, una prospettiva ulteriore;
e così i singoli contributi personali si somme-
ranno di continuo, uno sull’altro, rendendo
sempre più raffinate e universali le pratiche
euteleiche
. Nella società liberata dal dominio,
1 Cfr. A. Pertosa,
Dall’economia all’eutéleia. Scintille
di decrescita e d’anarchia
, Edizioni per la decrescita
felice, Roma 2014. Eutéleia, dal greco
εὐτέλεια
: il ter-
mine esprime il senso di qualcosa che si fa con misu-
ra e senza eccessi, rispettando i limiti e le condizioni
naturali.
la gloria della tecnica e il buio della notte non
si riveleranno un destino universale, ma un pe-
ricolo scampato. In sostanza, lo spazio convi-
viale sottratto alle trame verticali del potere
dispotico – potere esercitato in questi ultimi
decenni dalla razionalità strumentale della
tecnologia – configurerà una vera e propria via
d’uscita dal disastro che provocherà la notte
(ch’è la presentificazione del nulla), qualora
emergesse dall’orizzonte economico inghiot-
tendo l’essere cosmico nel buio annichilente.
Spingere il dominio e la logica competitiva al
tramonto diventa quindi un imperativo etico
se si vuol salvare sul serio l’essere cosmico
dalla sua radicale negazione: il nulla. E proprio
per questo motivo, solo chi scorge il rischio
presente della notte vede la luce dell’
eutéleia
e vi si aggrappa con amore, con quell’amore
per la vita ch’è una meraviglia, un’attrazione
irresistibile che rasserena. Ma la luce, l’ho det-
to, non si lascia prendere facilmente, rischia
persino di sfuggire dalle mani quando la si
crede propria e finalmente posseduta. Sgatta-
iola via al minimo tentativo di modificarla a
piacere, di codificarla, di renderla norma, ca-
techismo, concetto, ideologia. Per questo è
indispensabile custodirla nel cuore e nella
pratica quotidiana lavorando costantemente
su se stessi, mortificando il proprio desiderio
di prevalere sull’Altro, di conquistarlo, di as-
soggettarlo, di dominarlo, di renderlo «cosa».
Solo a quel punto si vedrà apparire il bagliore
persistente della condivisione fraterna, della
passione per l’uomo, per le sue debolezze,
per quelle debolezze che sono anche le mie, e
in quanto mie, di tutti…Quando ciò avverrà, lo
spazio liberato dalla violenza consentirà
all’uomo
euteleico
di ripopolare l’immaginario
di nuovi concetti, favorirà la formazione di rap-
porti conviviali e fraterni, permetterà ai parlan-
ti di riconoscersi come soggetti relati, e que-
sto riconoscimento si configurerà come il dato
originario della serenità gioiosa, che tuttavia
fintantoché l’orizzonte economico non tra-
monta possiamo solo annunciare, perché al
momento resta ancora sepolta sotto una
spessa coltre di individualismo. Ma, appunto,
si tratta di spezzare la corazza che ognuno di
noi si è costruito attorno, e di lasciare infine
diradare la nebbia per ritrovarsi, felici e in
pace, immersi nella trama dell’essere. Chi
d’altro canto si trova, almeno e per ora solo
col pensiero, in questo spazio di gioiosa sere-
nità, ne ha ben d’onde ad essere felice. Tutta-
via le insidie si nascondono a ogni angolo e
per questa ragione bisogna sempre mantene-
re alto il livello di guardia. Guai persino a sup-
porre di aver vinto la partita contro la violenza,
perché ciò che sembra battuto una volta per
sempre – soprattutto quando in ballo c’è un
qualcosa che la cultura ha trasformato in un
gesto così carnalmente umano, come il desi-
derio di sopraffare i propri simili – può invece
tornare di nuovo al centro della scena, e può
farlo proprio nel momento in cui lo si pensa
perduto senza possibilità di appello. Per
quanto posso intuire, infatti, il desiderio di do-
minare l’Altro – così come molte altre manife-
stazioni dell’Io – resiste pervicacemente nel
cuore del singolo, né tanto meno sembra spa-
rire dalla coscienza collettiva: si può, allora,
solo tentare di contenerlo ai margini della so-
cietà, relegando in un cantuccio isolato il de-
spota che, refrattario all’equanimità relaziona-
le, pretende di continuare a dominare i suoi
simili in virtù di una supposta supremazia on-
tologica. Pertanto, chi vorrà proseguire sulla
via della competizione e dell’individualismo si
autoescluderà dalla comunità conviviale. Sarà
egli l’estraneo, lo straniero. E chi praticherà
l’
eutéleia
– proprio per evitare replicazioni del
dominio – non potrà far altro che mostrare a
questi ostinati sostenitori dell’antagonismo
competitivo, quanto sia pacificante e serena
una vita conviviale, in cui si tenta di ridurre al
minimo il dominio sull’Altro. La partita è certo
complessa, ma è pur sempre una partita che
si può cominciare a vincere (e la vittoria non è
qui intesa come
vittoria su qualcuno
, ma sem-
plicemente
vittoria per qualcosa
) solo se la
stragrande maggioranza degli uomini – che
comprende di essere destinata a soccombere
dinanzi alla violenza della razionalità legata
all’
homo homini lupus
– avrà la forza necessa-
ria per sottrarsi alla
servitù volontaria
di cui
parlava Étienne de La Boétie. Quando ciò av-
verrà, ovvero quando l’uomo liberatosi dal do-
minio deciderà una buona volta che sarà giun-
to il momento di non servire più il suo carnefi-
ce – e in quella sua volontà di non servire è
chiaramente implicita anche la decisione netta
di non lasciarsi mai più servire da Altri –, si
profilerà all’orizzonte l’alba di un nuovo gior-
no. L’
eutéleia
è il risultato di una «rivoluzione»
culturale, sociale e politica non-violenta, è uno
spazio inedito la cui forza sta proprio in ciò
che viene percepito dal pensiero dominante
come una fragilità insuperabile, ovvero sta nel
suo proporsi con mitezza senza alcun deside-
rio di cedere alla competizione. I critici obiet-
tano che, nel presentarsi di fatto come refrat-
taria alla violenza e tecnicamente a-competiti-
va, l’
eutéleia
non avrà mai alcuna possibilità di
vincere una vera e propria competizione, e
sarà quindi sempre soggetta al rischio della
sua smentita radicale. Le cose, però, non
stanno in questo modo, anche perché chi so-
stiene questa critica sembra ignorare che un
modello a-competitivo non può perdere alcu-
na competizione semplicemente perché si
sottrae volontariamente alla competizione
stessa. Nello spazio euteleico non si tratta di
competere per vincere una gara, una tornata
elettorale, un confronto televisivo o un disputa
pubblica, ma di agire in profondità sino a sfio-
rare le corde profonde dell’umano, affinché in
ogni singolo cuore avvenga quella con-versio-
ne necessaria a sentire come propria la prati-
ca liberante dell’
eutéleia
. E per sentirla propria
è importante che il soggetto si disponga di-
nanzi alla proposta non-violenta con animo li-
bero da pregiudizi, e pronto a interpretare il
messaggio come meglio crede o sa fare. Ciò
vuol dire che il singolo Io non ha dinanzi a sé
una dottrina precostituita a cui deve confor-
marsi necessariamente, né tanto meno la pro-
posta liberante può presentarglisi nelle forme
di un
catechismo
o di un decalogo annunciato
una volta e valevole per sempre. Perché ap-
punto se fosse così, se il modello
euteleico
fosse rigido e ben definito da un pensiero or-
ganico – quand’anche fosse elaborato da una
o più persone, persino fra le più ispirate e ge-
niali – finirebbe comunque per replicare il do-
minio, presentandosi come l’ennesima varian-
te di un’ideologia definita dall’alto e valevole
per chiunque. Ma in questo modo si ripropor-
rebbe il potere dispotico in altra forma, perché
qualcuno si arrogherebbe il diritto di pensare
la rivoluzione anche a nome degli Altri compo-
nenti la società. E lo farebbe magari a nome di
quegli Altri che non ritiene all’altezza del com-
pito rivoluzionario, e ai quali viene quindi pre-
sentata una via già bella e pronta, una via da
seguire senza obiezioni, perché i più
ispirati
hanno già pensato a tutto, hanno valutato le
possibili varianti e hanno stabilito in via defini-
tiva qual è il bene per la comunità. Alla luce di
queste considerazioni, è fin troppo chiaro, al-
lora, che per salvare la libertà personale dell’Io
è necessario pensare all’
eutéleia
come a una
proposta (non im-posta) che ognuno accoglie
nei modi e nelle forme che ritiene più opportu-
ni. Ciò non vuol dire, tuttavia, che l’
eutéleia
è il
regno del relativismo, anzi il suo orizzonte è
popolato da propositi liberanti ben definiti –
che potremo riassumere tutti nella volontà sin-
golare (e in quanto singolare anche comunita-
ria, perché l’Io si dà solo nella relazione onto-
logica al contesto) di superare il dominio di-
spotico esercitato dall’uomo sull’uomo – ma il
modo in cui ognuno accetta quella proposta e
si avvicina allo scopo non-violento della libe-
razione dal dominio è chiaramente personale
e irripetibile. Può darsi allora il caso che due
soggetti diversi, pur condividendo il fonda-
mento valoriale dell’orizzonte
euteleico
, vi si
dirigano seguendo strade alternative, che po-
trebbero persino non incontrarsi mai. Ciò si-
gnifica che le pratiche per giungere allo scopo
vengono scelte di volta in volta dai singoli Io,
in virtù del contesto sociale, storico, così
come in base alle preferenze e alle peculiarità
personali. Ognuno percorre dunque la sua
strada e funge da modello esemplificativo per
l’Altro, che a sua volta deciderà liberamente
se aderire o meno al progetto di condivisione
conviviale, tendendo così verso pratiche rin-
novate e fraterne. Ciò detto, mi sembra chiaro
il motivo per cui cadono le obiezioni al carat-
tere a-competitivo del modello
euteleico
. Per-
ché qui nessuno pensa che si possa compe-
tere partecipando a una disputa con una mo-
dalità a-competitiva, costringendo la comuni-
tà tutta a operare secondo la razionalità che si
ritiene più giusta o non-violenta. E non si tratta
di far ciò, perché una (presunta) non-violenza
normata da leggi approvate a maggioranza
trapassa fatalmente nella coercizione e nel
dominio. L’
eutéleia
non può certo essere im-
posta a tutti con un decreto o un precetto nor-
mativo. D’altronde la storia dimostra che le
regole e le costituzioni non hanno mai neppu-
re minimamente intaccato la razionalità con
cui i singoli Io decidono di vivere. Solo la
con-versione cosciente e volontaria è in grado
di trasformare dalle fondamenta gli scopi, e
quindi anche le azioni degli uomini. Sicché,
chi pensa che con l’
eutéleia
si possa cambia-
re il mondo a colpi di maggioranza o magari
conquistare il potere, deve sapere che una
proposta an-ideologica e a-competitiva non
contempla né maggioranze, né poteri di sorta.
Ognuno deve allora risolversi a desiderare
personalmente il cambiamento, innanzitutto
per se stesso e poi per l’intera comunità, per-
ché non è possibile altra rivoluzione di quella
che coinvolge direttamente e in prima istanza
il cuore di ogni singolo Io. Si consideri però
che il modello proposto non si limita a inter-
pellare soltanto ogni singolo Io in quanto tale,
ma nel proporre un cambiamento personale,
assume una dimensione politica più ampia. La
proposta, infatti, coinvolge l’Io come essere
relato al contesto in cui si trova. E, dunque, se
l’Io si con-verte, questa con-versione non la-
scia indifferenti gli Altri che gli sono attorno,
coi quali l’Io stesso costituisce delle relazioni
comunitarie, fatalmente coinvolte in questo
avvio di
con-versione
. Certo, riconosco che
non basta la singola con-versione per risolvere
la violenza sociale nella pace
euteleica
, perché
per realizzare interamente il progetto è neces-
sario che si con-vertano tutti, o almeno che si
con-verta la stragrande maggioranza dei sog-
getti appartenenti alla comunità. (Maggioran-
za che in ogni caso non potrà esercitare alcu-
na violenza normativa sulla minoranza, pena la
ricaduta nella violenza dispotica. Politicamen-
te, allora, la proposta dovrà formalizzarsi come
un consiglio accompagnato da un «seguilo se
lo ritieni giusto». Non un «fai così perché lo
dico io». E al contempo, come ricorda Pëtr
Alekseevi
č
Kropotkin, pur lasciando a ognuno
il diritto di operare come meglio crede, noi non
rinunciamo alla nostra capacità di amare e so-
stenere ciò che riteniamo buono, e di rifiutare
ciò che invece ci sembra cattivo
2
). L’
eutéleia
,
allora, vive questa polarità fra la conversione
comunitaria e quella personale. Tuttavia, per
quanto sia importante la volontà comunitaria
di vivere insieme la convivialità, il primo passo
verso la liberazione dal dominio economico
non può essere che personale. Ognuno deve
risolversi da solo a non voler più servire. Ma
nel disporsi a compiere i primi passi verso la
sua piena liberazione dalla schiavitù, questi
deve anche accettare di non lasciarsi più ser-
vire dagli Altri. Perché l’atto di sottrarsi al do-
minio dell’Altro è inscindibile dal desiderio di
non dominare più un qualsiasi Altro.
2 P. A. Kropotkin,
La morale anarchica
, Stampa Alter-
nativa Nuovi Equilibri, Roma 1999, p. 41.
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