attualità
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il mondo piccolo
Grecia: perché i profughi non
vogliono essere trasferiti
Migranti: oltre i confini dei numeri
di Véronique Saunier,
pubblicato originariamente da
VoxEurop.eu l’8 giugno 2016.
Molti dei rifugiati evacuati dal campo di
Idomeni, al confine con la Macedonia, si
sono rifiutati di farsi smistare nelle strut-
ture di accoglienza messe su dal governo
greco. Ecco otto dei motivi dietro questa
scelta.
La tendopoli di rifugiati e migranti improvvisa-
ta vicino al villaggio greco di Idomeni, al con-
fine con la Macedonia, è stata sgomberata a
fine maggio. La maggior parte dei suoi dieci-
mila occupanti è stata trasferita in altri campi
allestiti dal governo greco, a quanto pare me-
glio organizzati, o sistemata in alloggi affittati
sempre dal governo. Molti di loro però hanno
deciso di non spostarsi nei nuovi insediamenti
e di piazzare le proprie tende altrove, come
lungo la strada che collega Atene a Salonic-
co. Il motivo più comunemente addotto dai
profughi per rifiutare di spostarsi dai campi
informali in cui hanno vissuto per mesi alle
strutture di accoglienza messe su dal governo
è che vogliono restare in prossimità delle fron-
tiere nell’eventualità che esse vengano aperte
e diventi possibile attraversarle. È stata que-
sta la principale ragione per cui tre mesi fa si
sono piazzati vicino a villaggi come quello di
Idomeni, appunto, che dista appena cinque
chilometri dal valico di frontiera con la Mace-
donia di Gevgelija. Da allora però sono pas-
sati tre mesi, e molti dei rifugiati hanno ormai
perso la speranza che le frontiere vengano
mai riaperte. Eppure, malgrado le condizioni
di vita proibitive in cui versano, preferiscono
rimanere dove sono invece di trasferirsi nei
centri d’accoglienza ufficiali perché:
1. Non possono scegliere la struttura di de-
stinazione e quindi non hanno idea di dove
saranno mandati. Negli ultimi mesi si sono
costruiti una rete di relazioni sociali che, per
quanto fragile, rappresenta l’unico barlume di
vita sociale che hanno al momento. Sia adulti
che bambini si sono fatti degli amici, si sono
sostenuti e aiutati tra loro, hanno formato
nuove coppie. Il loro timore è di poter essere
spediti a casaccio in campi diversi col rischio
di venir separati dai propri amici e addirittura
dai propri familiari.
2. Sono preoccupati per la promiscuità e la
mancanza di privacy. I nuovi campi, stando a
quel che si dice, sarebbero o ex basi militari o
fabbricati industriali in disuso che verranno ri-
empiti di tende dell’esercito messe in fila una
accanto all’altra. Non che insediamenti come
quello di Idomeni garantiscano molta privacy,
ma almeno lì si può scegliere dove piantare la
propria tenda, organizzarsi in gruppi e spo-
starsi da un’area all’altra se lo si desidera.
3. A preoccuparli è anche il cibo, sia in termini
di scarsità che per quanto riguarda la poca
varietà degli alimenti. Le Ong greche servo-
no tre pasti al giorno ma assai ripetitivi (tanta
pasta) e non necessariamente appetibili per
le persone di varie nazionalità che vivono
nei campi. Potrà sembrare banale, ma tutti
sappiamo quanto mangiar bene sia determi-
nante non solo per la salute ma anche per il
morale. Nei campi informali i rifugiati più in-
traprendenti hanno messo su dei chioschetti
in cui vendono di tutto, dalla verdura e frutta
fresca alle pietanze cotte tradizionali come i
falafel, i kebab o i dolci tipici. Chi non può
permettersi di comprare cibi precotti cucina
da sé su fornelletti a gas o sui falò. Spesso si
vedono donne e bambini in giro per i campi
in cerca di erbe e bacche. Questa attività non
solo contribuisce alla loro alimentazione, ma
è anche un modo per tenerli impegnati e dà
loro un senso di vita vera e di condivisione.
4. E se non c’è il wi-fi? Il wi-fi è fondamenta-
le perché consente ai rifugiati di comunicare
con i propri parenti e amici, oltre a tenerli in-
formati e a offrire loro opportunità di svago.
Una connessione a internet è di vitale impor-
tanza visto che la maggior parte dell’iter per
fare richiesta di asilo si svolge online, com-
preso il primissimo passaggio, che è quello
di fissare via Skype un appuntamento con
l’Ufficio greco per l’asilo. A Idomeni il wi-fi
era disponibile in diversi punti, per esempio
nei pressi delle tende delle maggiori Ong e
di quelle degli operatori sanitari. A quanto si
dice alcuni dei campi ufficiali non sono anco-
ra stati dotati di wifi. Oltretutto, i rifugiati te-
mono che le autorità possano arbitrariamen-
te decidere di sospendere il collegamento.
5. I loro figli rischierebbero di non ricevere
un’istruzione. Non è chiaro se qualcuno dei
campi ufficiali sarà in grado di fornire un ser-
vizio scolastico. Alcuni non hanno proprio
spazio a disposizione sufficiente per creare
delle classi. Nei campi improvvisati non ci
sono servizi educativi ufficiali, ma parecchie
ONG come i “Bomberos” spagnoli hanno or-
ganizzato attività di studio e di gioco di cui
potrebbe non essere più possibile usufruire.
6. La loro libertà potrebbe essere limitata. Al-
cuni campi hanno già dichiarato che i rifugiati
saranno liberi di entrare e uscire ma che ci
sarà un coprifuoco. Sappiamo quanto è umi-
liante per un adulto dover essere di ritorno a
casa entro una data ora.
7. Potrebbero non avere accesso a un’assi-
stenza sanitaria adeguata. In alcuni campi a
gestione militare le cure mediche verranno
somministrate da medici dell’esercito che
non hanno alcuna esperienza nel trattamento
di donne e bambini. Ci saranno altri dottori
disponibili? Ci saranno dei medici donna?
8.Hanno paura di essere dimenticati. L’ac-
cesso ai campi sarà consentito solo a orga-
nizzazioni e individui autorizzati dal governo.
Ai volontari indipendenti e ad alcuni mezzi
d’informazione potrebbe essere interdetta la
facoltà di visita. Molti rifugiati non credono
più a quanto sostiene l’Alto commissariato
Onu per i rifugiati, secondo cui le richieste di
asilo verranno evase più rapidamente all’in-
terno dei campi ufficiali. Non vedono fine
all’attesa e sono terrorizzati all’idea che il
mondo intero li dimentichi e li lasci lì a tempo
indeterminato.
A frenare i profughi è la paura legata all’in-
certezza e all’assenza di informazioni riguar-
do alle condizioni che li aspettano nei nuovi
campi, soprattutto alla luce delle condizio-
ni che hanno trovato al loro arrivo e che si
sono rivelate di gran lunga inferiori alle loro
aspettative, viste e considerate le motivazioni
e, per gran parte di loro, la lotta che hanno
sostenuto per lo status di rifugiati. Un po’ di
queste paure, di questi dubbi e di queste an-
sie è possibile che siano infondati e ingiustifi-
cati. Fatta eccezione per pochi mezzi d’infor-
mazione, alcuni membri dello staff medico e
alcuni funzionari, pochissimi hanno mai visi-
tato i campi allestiti dal governo.
Quel che i rifugiati ne sanno viene da gente
che è tornata da questi ultimi, a volte dopo
pochi giorni. Le sole altre fonti di informazioni
disponibili sono il canale News That Moves,
che tenta di sfatare le false voci e di dare in-
formazioni oggettive e verificate, e la pagina
Facebook di Are You Syrious, un’organizza-
zione croata.
A sua difesa, l’Ufficio greco per l’asilo ha an-
nunciato a metà maggio che sta sviluppando
un’app per telefonini che aiuterà a diffonde-
re le informazioni sull’iter per la richiesta di
asilo in Grecia. Secondo News That Moves,
sarebbero i ricercatori del Dipartimento di
informatica e telematica dell’università Ha-
rokopio di Atene a sviluppare il software, che
verrà lanciato ai primi di luglio. Nel frattem-
po, il Dipartimento greco per l’immigrazione
probabilmente dovrebbe cercare di comuni-
care meglio. Magari spiegare ai rifugiati dove
li stanno portando e cosa devono aspettarsi
una volta lì, descrivere loro che tipo di strut-
ture e servizi saranno disponibili, assicurarsi
che nuclei familiari, parenti e cerchie di amici
rimangano insieme. Investire e impegnarsi
nella comunicazione potrebbe risultare più
efficace e meno dispendioso che non spedire
centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa
a sgomberare la gente e tenere per ore un
elicottero a sorvolare il campo.
Questo reportage è stato pubblicato da
VoxEurop.eu in partenariato con The New
Continent, un progetto giornalistico lanciato
dal fotografo Phil Le Gal e una piattaforma
collaborativa che vogliono documentare le
storie delle persone che vivono a cavallo del-
la frontiera dello spazio Schengen.
di Mons. Vinicio Albanesi
Migranti 2016: dopo la prima accoglienza che
succede?
Nel mese di Maggio sono stati
accolti dall’Italia 20.000 persone
in fuga da
guerre, da persecuzioni o dalla povertà,
raggiungendo così il numero di 120.000 nel
2016. Un report del Ministero dell’interno ,
datato 30 maggio, suddivide le accoglienze
per regioni e per tipo di struttura. Le Regioni
con maggior numero di presenze sono la
Sicilia (13.747), terra -di primo approdo, la
Lombardia (15.382). Seguono Veneto
(10.348), Piemonte (9.045), Lazio (8.940),
Toscana (8274) ed Emilia Romagna. Dove
sono accolti i migranti? Le prime strutture
sono gli
hotspot,
aperti d’intesa con l’Ue. Al
27 maggio a Lampedusa si registravano 535
persone, 124 a Pozzallo, 477 a Trapani, 151 a
Taranto. Seguono i centri di prima
accoglienza, anch’essi governativi: sono 15,
dislocati dalla Sicilia al Friuli, per un totale di
11.255 presenze. A fine maggio, il più affollato
era quello di Catania, con 2.972 migranti,
seguito da Bari (1.414), Crotone (1213),
Foggia (1.131) e Castelnovo di Porto (832).
Alcuni rifugiati sono ospitati in 4 ex caserme:
la “Gasparro” a Messina (41 persone); la
“Cavarzerani” a Udine (686); la “Prandina” a
Padova (126) e la “Serena” a Treviso (553).
Nelle tabelle del Viminale, ci sono poi le
“strutture temporanee di primissima
accoglienza”, disseminate sul territorio
nazionale con protocolli attivati dalle
Prefetture. Sarebbero oltre 1.500 e vi si
trovano 86.045 persone. 26.000 migranti
sono ospitati da gruppi di accoglienza
collegate al mondo cattolico. Da ultimo
vengono i 9 centri per l’identificazione e
l’espulsione (Cie), un tempo pieni, oggi
praticamente chiusi.
Il problema serio
La procedura di accoglienza, dopo le regi-
strazioni, è affidata a commissioni regiona-
li, le quali, interrogano le singole persone e
decidono se sussistono le condizioni per il
permesso di soggiorno. Tali permessi sono
possibili secondo tre tipologie: rifugiati po-
litici, permesso di soggiorno per protezione
sussidiaria e infine per motivi umanitari. Que-
stultima dizione, nella legge, rimane vaga. Le
Commissioni applicano criteri molto ristretti:
su 66.266 domande di protezione esaminate
nel 2015, solo il 5% ha ottenuto lo status di
rifugiato, il 15% la protezione sussidiaria, il
22% per cento quella umanitaria. In realtà nel
58% dei casi la domanda di rifugiato è stata
respinta. Per il primi mesi del 2016 il diniego
è salito addirittura al 68%. Secondo la legge
italiana in opposizione al rifiuto è concesso
il ricorso al Tribunale civile in prima istanza,
in appello e infine in Cassazione. Il rischio è
che 40.000 persone circa presto potrebbero
ritrovarsi con l’ordine di lasciare l’Italia nel
giro di tre giorni. In realtà l’ipotesi probabile
è che la maggior parte di migranti diventino
clandestini, senza fissa dimora e, nei casi più
problematici, siano prede di gruppi criminali.
Dove va infatti chi non ha denaro, chi non ha
documenti, chi non sa dove andare? Occorre
un ulteriore sforzo per dare futuro a persone
fuggite dai loro paesi invivibili: una politica
che, dopo un’accoglienza generosa, attivi
l’integrazione e non permetta il crescere di
una popolazione clandestina, senza futuro.
Il nostro mondo è quello delle relazioni sociali, dei deboli, dei fragili, dei sogni apparentemente irrealizzabili, dei progetti economicamente perdenti,
ed è partendo da questa rete ed attraverso queste lenti che vogliamo connetterci con tutto quello che accade e raccontarlo.
Foto di Stefano Lusa (Osservatorio Balcani Caucaso)
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