cura e dipendenze patologiche
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in-dipendenze
E tu slegalo subito
A New York archiviata la war on drugs
di Peppe Dell’Acqua
Una campagna per rifiutare, disubbidire,
denunciare.
“Gli venne incontro l’Ispettore capo
Michele
Pecorari
più curvo che mai: si trattava del
nuovo ancorché sconosciuto
Direttore
, che
diamine! E le gerarchie e i relativi poteri erano
formalmente tenuti in gran conto nel manico-
mio, tanto più che il potere del Direttore do-
veva servire a legittimare a cascata il potere,
e le prepotenze, di ciascuno dei sottoposti
nella gerarchia. Seguendo fiducioso il rito,
Pecorari sottopose al Direttore il registro delle
contenzioni disposte dai medici, o semplice-
mente praticate dagli infermieri, il giorno pre-
cedente per la firma di convalida.
Basaglia
lo guardò con aria perplessa e interrogativa,
e dopo un indugio che dovette sembrare as-
sai lungo agli astanti disse semplicemente:
e
mi, no firmo!
”. Comincia così a Gorizia, in una
giornata ventosa di fine Novembre del 1961,
la tumultuosa storia del cambiamento. Nel
nostro Paese, in almeno 9 su 10 dei Servizi
psichiatrici ospedalieri di diagnosi e cura, la
contenzione è pratica diffusa; quanto acca-
de in Italia è consuetudine in ogni parte del
mondo. La pratica della contenzione è ben
conosciuta negli istituti che si occupano di
vecchi e nei luoghi che accolgono bambini e
adolescenti. L’illiceità del trattamento è am-
messa da tutti e dovunque, anche quando
l’esiguo numero di personale fanno apparire
inevitabile il ricorso alla contenzione. Per ogni
urlo, confusione, agitazione le persone si ri-
trovano crocefisse al proprio letto mortificate
e ferite ridotte a corpo. L’individuo scompare
al nostro sguardo e con esso la sua storia. La
rabbia e l’umiliazione che le persone legate
devono vivere sono così profondi che a fati-
ca riescono a raccontare. È così dolorosa la
ferita di chi esce vivo da questa prova che il
racconto è quasi più penoso dell’esperienza
stessa. Gli operatori che la praticano fanno
una fatica simile a parlare. Ci sono luoghi
in Italia, come in altri paesi, dove la conten-
zione è stata abbandonata. Luoghi dove gli
operatori vedono come fallimento del lavo-
ro terapeutico il ricorso alla contenzione. La
campagna avviata lo scorso gennaio da un
ampio cartello di associazioni e dalla Cgil
vuole credere che i luoghi della cura possano
finalmente essere disarmati e che l’esercizio
difficile e paziente della democrazia renda
impensabili fasce e porte chiuse. Chi si occu-
pa di salute mentale non può non vedere e ri-
flettere sul rigoroso, spietato e doloroso film/
documento “87 ore” della regista
Costanza
Quatriglio
.
Francesco Mastrogiovanni
,
maestro sessantenne, muore “in diretta” nel
servizio psichiatrico di Vallo della Lucania
(SA) ai primi di agosto del 2009, dopo 4 giorni
di contenzione, sotto l’occhio freddo delle te-
lecamere di sorveglianza. Tre anni prima, nel
2006, moriva nel Spdc dell’ospedale “Ismi-
riones” di Cagliari,
Giuseppe Casu
, frutti-
vendolo sessantenne, dopo che per una set-
timana era rimasto legato al letto. Due morti
che non sono eccezioni. Solo due morti che
hanno incrinato il muro dell’omertà. Molti altri
“incidenti” sono accaduti, almeno negli ulti-
mi dieci anni nel silenzio e nella disattenzione
generale. Non possiamo non interrogarci di
fronte a quanto accade e rifiutare, disubbi-
dire, denunciare. È urgente un cambiamento
radicale. Un piano di investimenti per la for-
mazione, per le organizzazioni, per i percorsi
di ripresa individuali. 20 regioni, 20 sistemi
differenti di salute mentale, troppo spesso
miseri e inefficienti. Il diritto costituzionale
negato. Una seconda rivoluzione? Una legge
che renda certo il diritto alla cura? Un nuovo
progetto obiettivo? Credo, e molto, che non
ci sia più tempo. La campagna per la chiu-
sura degli Opg e ora questa contro la con-
tenzione hanno messa in evidenza il declino
inarrestabile delle politiche di salute mentale
nelle paludi delle programmazioni regiona-
li. Lanciata la pietra nello stagno bisogna
mettersi in ascolto, ovunque. Il forum salute
mentale, che è promotore della campagna
“...e tu slegalo subito” propone di avviare un
confronto, un dibattito pubblico per muovere
il governo centrale a una responsabile propo-
sta politica. Un cantiere per la salute mentale
per rilanciare la sfida.
di Grazia Zuffa
Commento ai lavori di UNGASS 2016 per
la rubrica di fuoriluogo su il Manifesto del
27 aprile 2016.
Per Ungass 2016, appena conclusa a New
York, è tempo di non facili bilanci. Se riper-
corriamo gli obiettivi e le aspettative del mo-
vimento internazionale delle Ong, è compren-
sibile un certo amaro in bocca. Il documento
finale (
outcome document
) ripercorre in gran
parte il modello declamatorio ideologico del-
le passate Assemblee Generali, senza passi
avanti: ad esempio, si riconferma la fedeltà
alle Convenzioni, senza prendere in consi-
derazione alternative; nessun termine alla
pena di morte per reati di droga e neppure
richiesta di moratoria delle esecuzioni; nes-
suna indicazione per la decriminalizzazione
del consumo personale, né per la riduzione
del danno. Per di più, a sancire la volontà di
chiudere subito i giochi, il documento è sta-
to approvato addirittura prima dell’inizio del
dibattito generale. Eppure, appena finito il
voto
,
è emersa a sorpresa la vera novità: un
dibattito diretto e acceso su questioni chia-
ve, con fronti contrapposti ben definiti, senza
l’usuale linguaggio felpato della diplomazia.
I paesi latino- americani promotori di questa
Assemblea straordinaria (Colombia, Messi-
co e Guatemala) hanno ripercorso le ragioni
dell’insostenibilità (economica, politica, de-
mocratica) della
war on drugs
, ribadendo la
necessità di un cambio di passo che allinei
il controllo globale della droga al rispetto dei
diritti umani. Ed è apparso chiaro dalle loro
parole che la ricerca è a tutto campo, verso
soluzioni anche al di fuori dei limiti delle Con-
venzioni (“ci sono altri strumenti in campo, la
regolazione dei mercati della cannabis o della
foglia di coca in Bolivia ne sono esempi” – ha
detto Milton Romani, responsabile delle poli-
tiche antidroga dell’Uruguay. Siamo solo all’i-
nizio di un percorso, ha concluso). Dall’altro
versante, il fronte dei “duri” ha argomentato
in posizione nettamente difensiva. Così è sta-
to per la pena di morte, rivendicata dall’Indo-
nesia (a nome di altri paesi asiatici, africani,
medio orientali) in quanto “scelta nazionale
di politiche di giustizia”. Ancora più chiaro il
cambio di registro sulla riduzione del danno.
Un tempo ignorata o dismessa come “eresia
antiproibizionista”, a New York la riduzione
del danno è stata rappresentata dai
tough on
drugs
come “l’approccio dei paesi occiden-
tali, alternativo alla riduzione della domanda”
(la riduzione della domanda è la nostra stra-
tegia, fatta di prevenzione e di risposta pena-
le, non forzateci a scegliere la riduzione del
danno - si è raccomandato il rappresentan-
te di Singapore - a nome dei paesi asiatici).
L’approdo politico di Ungass 2016 l’ha rias-
sunto il Segretario di Stato statunitense, Wil-
liam Brownfield: riformare le politiche all’in-
terno della “flessibilità” delle Convenzioni,
ridimensionare l’approccio penale, puntando
sui reati violenti di traffico e tralasciando i
reati minori non violenti e il consumo, cui si
addice l’intervento sanitario, non la risposta
carceraria (subito dopo Milton Romani ha
convenuto, sposando il “riequilibrio” a favore
dell’approccio di sanità pubblica). Cambiare
corso lasciando intatte le Convenzioni: è un
compromesso accettabile? Per il momento,
la “flessibilità” sembra l’unico strumento per
tenere insieme i due fronti e lo stesso sistema
di controllo Onu. Il rischio è di una divarica-
zione crescente fra i paesi, in seguito al “rim-
patrio” delle politiche. Col vantaggio però
di veder “deperire” le Convenzioni, nel loro
(discutibile) carattere di prescrizione penale.
Forse, solo il declino delle Convenzioni può
aprire la strada alla loro possibile riforma,
verso un impianto alternativo di promozione
civile e umana. Per noi Italiani, c’è anche altro
di cui prendere nota: il discorso del ministro
Orlando, prudente ma deciso sulla via del rin-
novamento. Un cambio di passo via dal sen-
tiero di Giovanardi e Serpelloni.
Il viaggio verso la costruzione delle tante In-Dipendenze possibili.
Foto - AP PhotoRahmat Gul
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