Itaca n. 4 - page 8

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cultura · affabulazioni
“L’onda umana in fuga - come dice Michele
Serra - non arriva da noi per colpa del buo-
nismo, ma perché la loro paura di morire è
più forte della nostra paura di ritrovarceli
davanti all’uscio di casa e nessun ostaco-
lo fisico basta a fermarli. È un cataclisma
epocale.” Un cataclisma epocale che può
essere combattuto solo con l’accoglienza
possiamo aggiungere. Le persone e i nume-
ri, la compassione e l’immagine della parola
indifferenza all’interno del Binario 21, testi-
moni oggi, di un evento nuovo: l’accoglienza.
Sotto la stazione centrale di Milano, a piano
strada di fronte al palazzo ex Regie Poste esi-
ste il memoriale della Shoah, un’area museale
inaugurata nel gennaio del 2013 per non dimen-
ticare il ruolo, strategicamente drammatico, che
ebbe nella deportazione degli ebrei proprio il
Binario 21
.
Centinaia di ebrei e deportati politici furono
dal 1944, caricati su vagoni bestiame diretti ai
campi di
Auschwitz-Birkenau, Mauthausen,
Bergen Belsen, Ravensbrück, Flossenbürg,
Fossoli e Bolzano
. Oggi il Binario 21 è il luogo
della memoria, un luogo di dialogo e incontro
tra religioni, etnie e culture diverse. Posto su
due livelli, uno a piano terra e l’altro interrato,
ha l’accesso in via
Ferrante Aporti
. Lungo il
muro dell’atrio si nota la scritta “
Indifferenza
”,
voluta da
Liliana Segre
, una delle superstiti
dell’olocausto, deportata ancora bambina pro-
prio da quel binario ad Auschwitz. Il Binario 21
testimonia una parte della storia italiana che
molti vorrebbero dimenticare, ma che invece è
necessario tenere ben in mente per non ricade-
re in errori già compiuti.
Oggi però sta accadendo qualcosa di nuovo
nel cuore della stazione centrale e il Binario
21 si sta costruendo una storia nuova, una
storia fatta di accoglienza, addomesticata dalla
solidarietà e dal desiderio di essere l’uno per
l’altro. Il Binario 21 da luogo di morte a luogo
della memoria sino ad oggi, e poi grazie alla
sua posizione strategica a luogo di prima acco-
glienza, di prima accoglienza per tutti quegli
uomini, donne e bambini che in fuga dagli
orrori della guerra e dalle persecuzioni arrivano
alla stazione Centrale di Milano. Ha subito una
metamorfosi morale questo luogo, dalle rovine
dei viaggi della morte ai viaggi della speranza,
perché l’emergenza profughi a Milano è iniziata
nell’ottobre del 2013 e con il centro di prima
accoglienza al Binario 21 è finalmente arrivata
la vita. Il filo conduttore oltre il vociare chias-
soso dei bambini e delle persone che vanno e
vengono è un misto di memoria e accoglien-
za, un ecosistema nuovo per la città, fatto
di persone diverse e vite che si mescolano.
Stefano Pasta giornalista e responsabile
dell’accoglienza al Binario 21 della Comunità
di Sant’Egidio ci ha raccontato la sua storia.
D. Dottor Pasta, che cos’è oggi il Binario 21?
Da luogo di deportazione prima a memoriale, a
centro di prima accoglienza oggi.
R. Oggi il
binario 21
è diventato un luogo di
rivincita della storia. È stato teatro di deporta-
zione e sofferenza, e poi per decenni è stato
dimenticato dalla memoria. Oggi invece è il
luogo in cui la solidarietà si è fatta contagiosa
in cui centinaia di persone, italiani, milanesi e
stranieri, hanno aiutato circa 4500 profughi. Di
84mila profughi in transito a
Milano
negli ultimi
due anni, di cui 17mila minori, una parte è stata
accolta al binario 21 con cene, docce, beni di
prima necessità, ma soprattutto è stata data
loro la possibilità di raccontare le proprie storie.
I volontari hanno mostrato il volto umano della
città, e questo testimonia un simbolo dell’Italia
e dell’Europa in generale. Negli ultimi anni ci
sono stati episodi di xenofobia e intolleranza
verso i profughi, ma è anche vero che ci sono
stati moltissimi episodi di solidarietà. Ad esem-
pio, al liceo artistico Caravaggio di Milano molti
studenti e professori hanno raccolto cibo per
i profughi e sono venuti ad aiutarci la sera al
binario 21. È uno degli esempi di solidarietà
contagiosa: persone venute ne hanno poi por-
tate altre, creando una cultura condivisa attorno
al binario 21. Un altro tratto simbolo delle tante
persone che hanno aiutato, è la caratterizzazio-
ne interreligiosa.
Si riuniscono
persone non credenti, la comu-
nità di Sant’Egidio, le parrocchie cattoliche,
la chiesa anglicana di Milano, i volontari
musulmani, la comunità ebraica e il tempio
Buddhista di Milano
. Il dialogo interreligioso
mette al centro i poveri e l’unirsi aiutando gli
altri, è il punto comune delle diverse religioni.
L’accoglienza al binario 21 non è in convenzio-
ne con le Istituzioni eppure è in piena collabo-
razione all’interno della rete di accoglienza del
comune di Milano.
È completamente a titolo gratuito e non ha
nessun costo per i cittadini e per le istituzioni
proprio perché è la dimostrazione che la solida-
rietà diventa contagiosa.
D. Chi vive il binario 21? O meglio, è vissuto
si dai profughi, ma anche dai volontari, è una
sorta di ecosistema nuovo creato all’interno
che mette insieme tutte queste persone
diverse?
R. La prima cosa che si vede entrando al
binario 21 è una grossa scritta a caratteri cubi-
tali “
Indifferenza
” voluta da
Liliana Segre
. Un
luogo dimenticato nonostante sia sopravvissuto
negli anni. Grazie all’amicizia di Liliana Segre,
con la comunità di Sant’Egidio e con quella
ebraica, nel 1997 è stato istituito il giorno della
ricorrenza della deportazione che si tiene ogni
30 Gennaio. Ritrovarsi per non dimenticare
questa memoria. Questa ricorrenza nel binario
21 è diventata parte del tessuto cittadino fino
a che le istituzioni e altre realtà hanno costi-
tuito la fondazione memoriale della Shoah.
L’indifferenza dei milanesi di allora è vinta dalla
solidarietà di oggi. Siamo tantissimi volontari,
persone di ogni età e di diverse provenienze
che non mettono al centro se stessi ma l’aiuto
per il prossimo. I profughi che vengono accolti
ogni notte (circa 40 persone al giorno) sono per
lo più eritrei, spesso ragazzini di 14 - 16 anni
che scappano dalla dittatura eritrea e viaggiano
da soli, migranti e famiglie siriane che alzano
i pantaloni e fanno vedere le ferite delle armi
da fuoco, afgani, iracheni, libici , persone delle
guerre degli ultimi anni.
D. C’è una storia che per Lei rappresenta più
delle altre questa nuova vita del binario 21?
R. Ogni volontario risponderebbe con la sto-
ria di una persona che ha potuto conoscere.
Personalmente ricordo
Khaled
, un ragazzo
di
Aleppo
. Quest’ultima era la città più popo-
losa della Siria, arrivata oggi al quinto anno
di guerra (sta durando più della prima guerra
mondiale). L’
ISIS
e vari ribelli hanno assediato
il paese.
Khaled
che ha 16 anni è scappato da
li provando a chiedere all’ambasciata di entrare
legalmente in
Europa
, ma questo non è stato
possibile e quindi ha scelto di affidarsi al busi-
ness dei trafficanti per mancanza di alternative
legali, ed è partito dalla
Siria
, è passato poi in
Libano
e si è fermato in
Egitto
per dieci mesi,
dove tutt’ora vivono sua madre e i suoi fratelli,
mentre il padre è rimasto ucciso da una granata
ad Aleppo. In Egitto ha finito l’anno scolastico
e a luglio è partito da solo. Col suo cellulare mi
ha fatto vedere le foto del barcone che aveva
preso, e un messaggio whatsapp che gli aveva
mandato il suo migliore amico che stava ancora
in Siria, in cui diceva “ci manca l’acqua”. Il suo
viaggio è passato per Italia, Germania, Austria,
Danimarca e finalmente in Svezia dove si trova
ora e dove ha ottenuto i documenti regolari.
Adesso sta cercando di farsi raggiungere dalla
madre e dal resto della famiglia.
Ciascun volontario ha la sua storia da raccon-
tare proprio perché la nostra scelta, è quella di
provare a raccogliere ed accogliere la storie di
ciascuno.
E poi c’è un padre eritreo, arrivato a Milano dal
sud Italia con due figli molto stanchi. Uno dei
due bambini aveva la febbre probabilmente per
la stanchezza. Questo padre da una parte era
molto rassicurante e protettivo verso i bambini,
ma dall’altra raccontava la pena e la sofferenza
per aver dovuto lasciare in Libia, dove tutt’ora
c’è una guerra civile, la moglie perché non ave-
vano abbastanza soldi per venire tutti e quattro.
D. Ci si sente arricchiti da tutto questo?
R. Il risultato di chi come noi la sera, a titolo
volontario è andato al memoriale è quello di
percepire come gli stessi profughi ci abbiano
aiutato e ci aiutino nella scelta di rimanere ed
essere più umani.
Fermarsi una sera, portare un pacchetto di
biscotti e fare un sorriso ad un profugo è una
cosa molto semplice che può fare chiunque
e che costa oggettivamente poco, ma che
veramente arricchisce ciascuno di noi e che ci
da la possibilità di rimanere più umani. Senza
fare facili buonismi, tante volte di fronte ad una
guerra in Siria, in cui il contesto è complicato e
in cui è difficile trovare soluzioni e non perdere
la speranza, la domanda “che cosa può fare
ciascuno di noi?” è assolutamente legittima ed
ha anche una risposta. La scelta di ciascuno di
noi, di come porci di fronte a questa cosa è una
scelta che chiama in causa la nostra parte per-
sonale. La presenza dei profughi in Europa e in
Italia negli ultimi mesi può essere raccontata in
due modi. Da un lato potremmo dire che ci sono
stati molti episodi di xenofobia, respingimento,
e ostilità verso di loro. Ma è altrettanto vero che
ci sono state tante manifestazioni di solidarietà.
Sta a ciascuno di noi scegliere dove collocarci.
L’Ungheria, tristemente famosa per aver innal-
zato un muro, ha avuto anche tanti cittadini che
hanno fatto invece la scelta di accogliere, come
la comunità di Sant’Egidio di Budapest, che sta
accogliendo i profughi presso la propria sede.
Anche dar voce, raccontare questa parte di
reazioni verso i profughi è importante.
Un treno partiva da Milano diretto ad Auschwitz
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