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carcere e storie · ossimori
Ero “fresca” di carcere, stavamo preparando
il secondo numero del giornale (quello sul
quale si lavora in queste settimane è il
16mo) e alla domanda: quale argomento
affrontiamo oggi? Hanno risposto: non
abbiamo lo scopino tira acqua. Sul momento
ho pensato ad uno scherzo ma sono bastati
pochi minuti per capire.
Di Teresa Valiani.
È un giornale di 12 pagine. Metà a colori, metà
in bianco e nero “perché così si risparmia sui
costi di stampa” ci siamo detti all’inizio davanti
al preventivo della tipografia. Poi il doppio
binario cromatico è piaciuto dentro e fuori e il
periodico continua a uscire alternando pagine
chiare e pagine scure, raccontando le giornate
chiuse e quelle in cui il carcere apre all’esterno.
Gli articoli che i detenuti scrivono sono il
prodotto di settimane e mesi di discussioni,
approfondimenti, urla, paure, in redazione dove
si pesano le responsabilità personali, si discute
sul valore delle scelte, si analizzano i problemi
di tutti i giorni o le grandi questioni nazionali: dal
tentativo di riforma del sistema penitenziario,
allo scopino tira acqua. La questione dello
scopino tira acqua i detenuti me l’hanno
posta per la prima volta quattro anni fa. Ero
“fresca” di carcere, stavamo preparando il
secondo numero del giornale (quello sul quale
si lavora in queste settimane è il 16mo) e
alla domanda: quale argomento affrontiamo
oggi? Hanno risposto: non abbiamo lo scopino
tira acqua. Sul momento ho pensato ad uno
scherzo ma sono bastati pochi minuti per
capire. Lo scopino tira acqua altro non è che
la spatola pulisci vetri: uno strumento utile
in casa, indispensabile ai semafori e vitale in
carcere perché i pavimenti delle celle non sono
piastrellati, o almeno la maggior parte. Allora,
immaginiamo di dover pulire un pavimento che
in realtà è una gettata di cemento, tutti giorni,
in una stanza di 4 metri per 4 in cui vivono più
persone che non si conoscono, che hanno
abitudini e culture diverse, qualche volta poco
attente all’igiene. Non puoi passare lo straccio,
il mocio è impensabile. L’unica soluzione è
quella di gettare secchiate d’acqua, lavare per
bene e poi tirare con la spatola tutto il liquido
rimasto. Ma se la spatola non c’è, la vita
quotidiana deve affrontare un ostacolo in più.
Ecco perché uno scopino diventa importante.
È una questione di prospettive. Ed è la prima
lezione che devi imparare. È così che comprendi
meglio il valore della libertà, il peso delle
ore, l’importanza di un colloquio, degli affetti
familiari che bisogna difendere dentro e fuori,
delle ferite che vengono inferte di riflesso anche
a chi non deve scontare niente, di tutto quello
che c’è ancora da fare per rendere il carcere
un luogo migliore e cercare, così, di migliorare
le persone che prima o poi usciranno, della
necessità di non abbassare la guardia quando
Strasburgo smetterà di multarci e i riflettori
internazionali si saranno spenti sui nostri istituti.
Tra il primo e l’ultimo numero ci sono 4 anni di
uscite, un’ottantina di detenuti che sono passati
dalla redazione, età media 30 anni, per più di un
terzo stranieri, basso grado di alfabetizzazione,
molti con problemi di dipendenze. E i progetti
lanciati o sostenuti dal giornale: “coloriamo il
carcere”, che ha restituito ai bambini, una sala
colloqui trasformata in stanza per i giochi e che
dà ossigeno ai più grandi quando si attraversa
il cortile interno e il corridoio che porta alle sale
comuni. Ci sono le “giornate ecologiche” che
hanno portato i detenuti a pulire strade, spiagge,
pinete e parchi dei nostri centri storici. Ci sono
le giornate nazionali della “Colletta Alimentare”,
a cui parteciperemo anche quest’anno con
la colletta interna (sezione 41 bis compresa)
e con la presenza, fuori, di due detenuti-
volontari. Ci sono gli incontri con gli autori, le
giornate del teatro e del concorso letterario
nazionale “
Teseo
”. C’è la collaborazione del
corpo di polizia penitenziaria e l’immancabile
appoggio e sostegno della direttrice,
Lucia Di
Feliciantonio
che è anche il nostro editore.
Non ultimo, le giornate formative promosse
insieme all’ordine del giornalisti delle Marche.
Infine c’è un messaggio, il più importante, che
“Io e Caino” cerca di veicolare: chi sbaglia
deve pagare e la pena consiste nella privazione
della libertà, legata a un percorso rieducativo.
Tutto il resto, che sia dettato da indifferenza
o da opportunismo, è solo vendetta e va
modificato, senza mai perdere di vista la nostra
Costituzione.
Io e Caino è il periodico, trimestrale, della
Casa circondariale di Ascoli Piceno
Ma c’è di più ad Antigone ogni settimana
arrivano circa trenta richieste di consulenza
legale da parte di detenuti per trasferimenti
ingiusti, accesso negato alle cure mediche,
assenza di spazio vitale, denuncia di
violenze e sostegno nella presentazione dei
ricorsi alla Corte Europea per trattamenti
inumani e degradanti.
Di Giulia Torbidoni - Ass. Antigone.
Sanità, mancanza di spazi adeguati e di
opportunità di reinserimento sociale. Sono
queste le maggiori problematiche che si
riscontrano nelle carceri italiane dove, secondo
il
Ministero della Giustizia
, al 30 settembre
2015, c’erano 52.294 persone, di cui 2.120
donne, 17.251 stranieri (32,9%) e 8.942 che
attendono ancora un giudizio di primo grado
(17%). Un dato, quest’ultimo, che dimostra
il largo utilizzo della misura cautelare della
detenzione soprattutto per gli stranieri che non
hanno un domicilio dove poterla scontare.
Nelle
Marche
i detenuti presenti nei
sette istituti sono 860 su una capienza
regolamentare di 811. Di questi, 13 sono
donne e 340 stranieri. Attraverso le visite
che i membri dell’
Associazione Antigone
svolgono regolarmente ogni anno in tutte le
carceri italiane, è possibile conoscere più nel
dettaglio le situazioni di vita dei detenuti. Nelle
Marche, ad esempio, placato il fenomeno
del sovraffollamento, le problematiche
maggiori sono quelle riguardanti la sanità e
in particolare l’accesso a cure specialistiche.
Atti di autolesionismo e di suicidio, inoltre,
non sono estranei alla nostra regione che,
per il 2015, conta cinque morti di cui due per
suicidio.
Oltre alla componente degli stranieri, molto
forte è negli istituti di pena la presenza di
persone affette da dipendenze patologiche
che, secondo la
Relazione annuale sulle
droghe del Dipartimento delle Politiche
Antidroga
, nel 2013 (il dato del 2014 non c’è
ancora, ndr), erano il 23,8%. Un altro dato che
dobbiamo aggiungere è quello sulla recidiva
che, in Italia, sfiora il 68% per chi sconta la sua
pena all’interno del carcere, mentre si ferma
al 19% tra quelli che accedono alle misure
alternative. È questo il dato più rilevante
che ci fa chiedere a che serva il carcere se
il 68% di chi ci finisce ci ritorna. Certo, ad
oggi, dopo che la
Corte Costituzionale
ha
dichiarato illegittima parte della legge
Fini
Giovanardi
sulle droghe, e in seguito ad altri
interventi successivi alla sentenza
Torreggian
i
della Corte Europea che obbligava l’Italia a
risolvere la situazione ‘disumana e degradantÈ
delle sue prigioni, il numero dei detenuti è
calato. Ma ancora critiche sono le condizioni
di chi vive negli istituti. Non solo ci sono
problemi di spazi ristretti e precari anche
dal punto di vista igienico-sanitario, spesso
dichiarati insufficienti anche dagli operatori
sanitari, ma soprattutto emergono la
distanza della società esterna dal carcere e
la conseguente difficoltà per i detenuti ad
avere la cosiddetta “seconda opportunità”,
soprattutto in termini di lavoro. Bassi i numeri
di chi accede a misure alternative e nel
caso dei tossicodipendenti, che potrebbero
scontare la pena in comunità terapeutiche,
spesso il problema maggiore è quello delle
ristrettezze economiche dei dipartimenti delle
dipendenze patologiche di appartenenza. Ma
c’è molto di più. All’
Associazione Antigone
,
ad esempio, ogni settimana, arrivano circa
trenta richieste di consulenza legale da parte
di detenuti per trasferimenti ingiusti, accesso
negato alle cure mediche, assenza di spazio
vitale, denuncia di violenze e sostegno nella
presentazione dei ricorsi alla
Corte Europea
per trattamenti inumani e degradanti. Ecco
perché l’associazione è in prima fila per
l’introduzione del reato di tortura nel nostro
codice penale e per l’istituzione della figura
di un garante nazionale dei diritti di tutti i
detenuti, oltre che per la depenalizzazione di
reati altamente “carcerogeni” come le ultime
leggi sull’immigrazione e sulle droghe.
Sanità, mancanza di spazi adeguati e
di opportunità di reinserimento sociale