Itaca n. 4 - page 2

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Aylan Kurdi aveva
tre anni di lui e del
suo futuro, rimane solo
un’immagine.
attualità · Il mondo piccolo
Il nostro mondo è quello delle relazioni so-
ciali, dei deboli, dei fragili, dei sogni appa-
rentemente irrealizzabili, dei progetti eco-
nomicamente perdenti, ed è partendo da
questa rete ed attraverso queste lenti che
vogliamo connetterci con tutto quello che
accade e raccontarlo.
Nel 1929,
Frigyes Karinthy
, nel racconto “
Ca-
tene. Racconto breve di viaggio intorno al
mio cranio
” ha un’intuizione che sarà poi alla
base di diversi importanti studi e conseguenti
teorie sociologiche. Nel suo racconto, Karin-
thy evidenzia un processo paradossale appar-
tenente al nostro secolo: se,
Giulio Cesare
non avrebbe raggiunto un azteco neppure in
cinquecento passaggi, oggi chiunque raggiun-
ge chiunque, ecco dunque che “qualcosa si re-
stringe e diventa più piccolo (il nostro mondo)
e qualcos’altro si allarga e diventa sempre più
grande (la rete delle connessioni)”.
La teoria del mondo piccolo, da intuizione let-
teraria, si trasforma in teoria sociologica grazie
ad un esperimento dello psicologo americano
Milgram attraverso il quale dimostrò che ognu-
no su questo pianeta è separato dagli altri solo
da sei persone o sei passaggi. Io sono dunque
legata a chiunque altro nel pianeta -un abori-
geno o un peruviano- da una catena di sole
sei persone.
Ognuno di noi è una porta spalancata su altri
mondi. Così il pensiero profondo che sta alla
base della teoria del “mondo piccolo” diventa
il nostro modo di intuire
l’attualità
intesa come
la fitta rete di connessioni tra fatti, persone,
movimenti a noi collegati da sei o meno gradi
di separazione.
Il nostro mondo è quello delle relazioni sociali,
dei deboli, dei fragili, dei sogni apparentemen-
te irrealizzabili, dei progetti economicamente
perdenti, ed è partendo da questa rete ed at-
traverso queste lenti che vogliamo connetterci
con tutto quello che accade su questo pianeta,
e raccontarlo a modo nostro, dal nostro pun-
to di vista. E magari, con sorpresa, accorgerci
che, partendo dal punto più piccolo della so-
cietà attraverso sei soli gradi di separazione,
arriveremo al punto più alto, perché graffiando
un po’ la superficie il vero motore che sta alla
base del pensiero di Karinhy è “…come arriva-
re, attraverso due, tre, al massimo cinque gradi
di separazione a un contatto tra le piccole, re-
lative, transitorie cose della vita e l’assoluto e
l’eterno; tra il tutto ed una sua parte” laddove,
per noi, l’assoluto e l’eterno sono rappresentati
dall’etica e dai diritti dell’umanità intera.
Il Mondo Piccolo
Dal 3 settembre 2015, il mondo intero si
interroga sulla questione dell’immagine di
Aylan che aveva tre anni ed era nato a
Kobane, nel nord della Siria. In molti si
sono chiesti se fosse giusto o anche solo
deontologicamente corretto pubblicare
l’immagine di quel piccolo, piccolissimo
bambino, con la maglietta rossa e il viso
riverso nella sabbia, raccolto sulla spiaggia
di Bodrum, in Turchia, punto di passaggio
di migliaia di rifugiati che da quel tratto
di mare passano per raggiungere le isole
greche. Certamente molti giornali nazionali
e non solo hanno scelto di mettere in prima
pagina Aylan Kurdi che scappava da una
guerra che ha ridotto in polvere la sua
città e ucciso migliaia di suoi compagni
di giochi. Aylan Kurdi aveva 3 anni, la
guerra, il mare, l’indifferenza delle persone
si sono presi anche sua madre e suo
fratello di 5 anni oltre a l’ennesimo numero
imprecisato di profughi in cerca di futuro.
Itaca si è fatta la stessa domanda e si è
chiesta se effettivamente fosse accettabile
la pubblicazione di quell’immagine, si è
chiesta delle politiche europee e del patto di
Dublino. Ha pensato al pudore, alla dignità e
al corso della storia ed è proprio per questo
motivo che ad aprire “il mondo piccolo”
di Itaca per questa edizione è il dialogo
sulla questione Aylan con il giornalista e
Presidente di Gariwo Gabriele Nissim.
Se non ci fosse stato tutto questo
coinvolgimento dell’opinione pubblica
rispetto alla memoria del passato non
avremmo potuto vedere gli effetti della
fotografia di Aylan, che è stata una scintilla
che ha acceso un fuoco. Quella foto ha
seminato in un campo che era già fertile,
non ha seminato nel deserto.
Intervista a Gabriele Nissim.
D. L’atteggiamento nelle politiche
sull’immigrazione da parte di Angela Merkel
subisce un repentino cambio di rotta subito
dopo la pubblicazione della fotografia
del bimbo siriano riverso senza vita sulla
spiaggia turca. Quella foto sembra aver
riportato alla memoria un’altra immagine,
quella di un bambino, questa volta ebreo,
ripreso tra le fiamme del ghetto di Varsavia
nel 1942, con le mani alzate in uno straziante
segno di resa difronte alla ferocia dei soldati
nazisti. La paura che la Germania fosse
coinvolta in un remake di questo tipo può
aver cambiato il corso delle politiche?
R. Non dobbiamo semplificare, non è una foto
che può cambiare una politica, ma bisogna
comprendere perché questo cambiamento è
avvenuto. Ci devono essere delle condizioni
politiche e morali che possono determinare
una presa di posizione. La foto scatena
qualcosa che però esiste già all’interno di un
sentimento diffuso. La
Germania
è un paese
che ha fatto i conti con l’olocausto e, in tutti
questi anni ha cercato di elaborare una sua
colpa storica per il più grande genocidio del
‘900. Ricordiamo
Willy Brandt
che si era
inginocchiato davanti al
Ghetto di Varsavia
, e
poi
Eisenhower
che fu il primo, subito dopo la
guerra, a dire che i tedeschi dovevano pagare
moralmente ed anche economicamente i loro
debiti nei confronti delle vittime. Alla fine della
guerra, tutta la Germania era concentrata sulla
ricostruzione. Ma intorno al ’68 vediamo come
i giovani iniziano ad interrogare i genitori. Tra
il ’60 e il ’68 infatti, ci fu tra gli scrittori e tra
i giovani una grande riflessione politica e
morale su quel passato. Ai giorni nostri
Angela
Merkel
ribadisce che quella colpa non si
può ammendare, metterci sopra una pezza,
ma è, e sarà sempre una responsabilità dei
tedeschi quella
di ricordare ciò è
successo. Ad oggi
i due paesi che
ricordano ogni
volta l’olocausto
sono Israele e la
Germania. C’è una
sorta di simbiosi
fra il paese dei
sopravvissuti e
il paese dove
abitarono i carnefici fanno sempre sentire la
loro voce intorno alla Shoa. E se la Germania
questa colpa se l’è presa, la stessa cosa
non ha fatto la Turchia con gli armeni. In un
certo senso quindi, i tedeschi danno una
grande lezione agli altri paesi. Ad esempio, la
Francia ha avuto difficoltà a ricordare le sue
responsabilità nella deportazione degli ebrei,
noi italiani ci dimentichiamo a volte della nostra
politica coloniale e di come usammo spesso il
gas nei confronti di queste popolazioni e dei
nostri comportamenti, per esempio in Libia e
in altre situazioni. Noi rimuoviamo. Quello che
è avvenuto nei confronti degli ebrei è stata una
responsabilità di una generazione precedente,
il governo di oggi non ha nulla a che vedere
con il governo di
Hitler
, ma rimane comunque
una responsabilità morale perché non ci sia
nessun negazionismo.
Non basta ricordare il passato, bisogna dire “io
non mi comporterò come si sono comportate
le generazioni precedenti, io devo dare un
esempio”. È all’interno di tutto questo che
dobbiamo considerare l’effetto della foto: se
non ci fosse stato questo retroterra culturale
allora non ci sarebbe stata questa “svolta della
mente”. Quando sono arrivati i profughi e sono
stati bloccati, in particolare in
Ungheria
, la
Merkel è stata pronta ad accoglierli.
Rispetto all’Europa centro orientale, dalla
crescita dell’hitlerismo fino alla guerra, la
Germania aveva dato corpo a tutte le forme di
antisemitismo che già esistevano in Ungheria,
in Polonia, in Cecoslovacchia. Sia quando
era alleata, sia quando era occupante, la
Germania poté compiere la soluzione finale
perché diede forza, stimolò, quello che erano
gli atteggiamenti antisemiti: in Ungheria, in
Bulgaria e anche in Italia vengono approvate
delle leggi razziali che poi permetteranno alla
deportazione degli ebrei. In altri paesi, come
in Polonia invece, si combatteva si contro i
tedeschi, ma l’indifferenza che ci fu di fronte alla
deportazione degli ebrei poggiava su un forte
antisemitismo che esisteva nella tradizione
polacca. La Germania allora, sia come alleata
di certi paesi sia come occupante, poté portare
avanti la deportazione perché incitò quelle
che erano tutte le correnti antisemite in quei
paesi. Oggi invece c’è stato un ribaltamento
della situazione. Di fronte ai rigurgiti razzisti e
nazionalisti che hanno attraversato in parte la
Polonia ma soprattutto l’Ungheria, la Germania
si è dissociata. Dimostrazione che il passato
è servito, ha insegnato, anche se la questione
dell’accoglimento dei migranti è ancora in
corso in quanto dipende dal coinvolgimento
dell’opinione pubblica, dalle politiche europee,
dal comportamento di una pluralità di soggetti.
Questa presa di posizione della Merkel non è
qualcosa di poco conto, è molto importante e
va sostenuta. Se non ci fosse stato tutto questo
coinvolgimento
d e l l ’ o p i n i o n e
pubblica rispetto
alla
memoria
del
passato
non avremmo
potuto vedere gli
effetti di questa
fotografia, che
è stata una
scintilla che ha
acceso un fuoco.
Quella foto ha seminato in un campo che era
già fertile, non ha seminato nel deserto. Tante
sono le immagini che vediamo ma che non
lasciano il segno. Quella no.
D. Cosa pensa di questo fenomeno, tutto
mediatico, in base al quale se una cosa
non viene vista o pubblicata è come se non
fosse mai accaduta?
R. Purtroppo oggi non bastano le immagini,
ci vuole l’educazione di una società perché, a
differenza del tempo degli ebrei e degli armeni,
oggi ci sono informazione, giornalisti, onlus,
ong, social. Oggi abbiamo tante informazioni,
il problema è quello di saperle ascoltare. Ad
esempio, sappiamo da molto tempo quello
che sta succedendo in Siria, dove avviene il
massacro di un intero popolo. Conosciamo il
gran numero di morti, sappiamo che ci sono
milioni di profughi, che il paese è smembrato,
che è arrivata l’ISIS e che in questo territorio le
persone sono massacrate, abbiamo assistito a
tutta questa catena di mali. I giornali lo hanno
scritto, abbiamo visto le immagini, però non
sono servite a nulla. Il punto è proprio questo,
ci vuole una società che sia educata, per
poter recepire certe immagini, ci deve essere
una predisposizione alla sensibilità. Se questo
non c’è, le immagini non servono a nulla e
le persone le vedono come se fosse un film.
L’informazione certe volte viene vista come
un fiction, come lo spettacolo dell’accaduto.
Attualmente non abbiamo un’informazione che
fa pensare, ma solo spettacolare, nei talk
show assistiamo ai combattimenti dove ogni
persona aggredisce l’altro e non c’è mai il
momento di condivisione di idee, ma sempre
una lotta di tutti contro tutti. Ci dovrebbe
essere un’educazione all’informazione, ma
nella realtà la politica non educa, la scuola non
educa. Se non esiste un retroterra morale, tutto
questo lascia il tempo che trova. Un tempo non
avevamo le immagini.
D. Nel Giugno 2015 il 51% degli italiani era
per il respingimento dei profughi sbarcati
in Italia, e solo il 41% era per l’accoglienza.
Al 10 Settembre 2015 le opinioni si sono più
che ribaltate: il 32% è per il respingimento,
mentre il 61% per l’accoglienza. L’immagine
ha evidentemente condizionato i sentimenti
e le opinioni rispetto all’immigrazione,
possiamo dire che questa foto ha cambiato
il corso della nostra storia?
R. Questa pratica dei sondaggi è molto
ingannevole. Se c’è un delitto che avviene da
parte di un romeno e che viene poi gonfiato
da alcuni politici come la
Lega di Salvini
in dieci trasmissioni televisive, l’opinione
pubblica cambia. I sondaggi colgono sempre
basi emotive in un momento particolare, ed
è per questo che tale strumento non può
mostrare la maturità politica di una Nazione. Il
grande problema che abbiamo sulla questione
dei migranti è che deve nascere una cultura
del dialogo e dell’integrazione, bisogna fare
in modo che ci sia un incontro tra culture
diverse. La filosofa
Hannah Arendt
citava
Socrate
. Egli diceva: “io so di non sapere” e
poi andava a dialogare con qualsiasi cittadino.
Ciò significa che in generale la verità non la
si può sapere ed è sempre in movimento.
Se non si parla con l’altro, con una persona
che ha un’opinione, un mondo, come si fa a
conoscerne il suo pensiero? - Quando arrivano
nuove popolazioni in Italia, non conosciamo
nulla di loro. Dovremmo quindi aprire il dialogo
al fine di ricercare insieme una verità comune e
creare un orizzonte condiviso di vita. Il dialogo è
fondamentale perché ci sia un riconoscimento
delle diverse culture. Ciò non significa che si
debba accettare per forza il pensiero altrui.
Ma senza dialogo non c’è integrazione. Il
dialogo non porta necessariamente ad una
soluzione, ma sicuramente ad una discussione
critica. Solo quando si è ascoltato l’altro si
può avere la forza per dire di non essere
d’accordo e di aver creato un momento di
incontro. Non conoscendo invece, i migranti
che arrivano saranno sempre immaginati come
dei mostri. C’è un problema politico e culturale
da parte dello stato nel predisporre forme di
integrazione. La grande sfida del futuro vedono
cambiamenti climatici, conflitti e guerre, portare
a nuove migrazioni.
I siriani sono un popolo colto, le persone
laureate, ingegneri, medici, se non ci fosse
stato quel clima di distruzione in Siria, non
avrebbero mai lasciato il paese.
L’Europa
e gli
Stati Uniti
sono incapaci di fermare i
crimini contro l’umanità ed i genocidi, non ne
hanno la forza politica né quella militare. Oggi
esistono tanti “non Stati”, paesi che vivono una
situazione molto pericolosa, con un’assenza
internazionale. Dovremmo quindi pensare a
come fare per pacificare quell’area. Ci vogliono
capacità di integrazione, capacità culturali,
ma anche una politica alta che impedisca i
genocidi e sia fattore di sviluppo di quei paesi.
Quando arrivano i migranti bisognerebbe si
accoglierli in modo degno, ma nello stesso
tempo fare in modo di superare le crisi che
vivono questi paesi. Le immagini non servono
a niente laddove non esiste una volontà politica
e una propensione culturale.
Se non esiste un retroterra morale le immagini non servono a nulla
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