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carcere e storie · ossimori
La nostra realtà, la realtà dell’umanità con
i suoi controsensi e controtempi, con i suoi
acuti ed i suoi ottusi a volte contemporanei
e conviventi in una stessa azione, in uno
stesso pensiero, in una stessa persona.
“L’ossimoro (dal “Greco antico” greco
ὀξύμωρον, composto da ὀξύς, «acuto»
e μωρός, «ottuso»; pronuncia greca: ossìm-
oro) è una “figura retorica” che consiste
nell’accostamento di due termini di senso
contrario o comunque in forte “antitesi” tra
loro. Dato l’etimo del termine, anche la stes-
sa parola ossimoro è un ossimoro. Se alcuni
ossimori sono stati immaginati per attirare
l’attenzione del lettore o dell’interlocutore,
altri nascono per indicare una realtà che non
possiede nome.
Questo può accadere perché una parola non
è mai stata creata, oppure perché il codice
della lingua, deve contraddire se stesso per
poter indicare alcuni concetti particolarmente
profondi.
Tra le righe fitte esplicanti il concetto di “ossi-
moro” fa capolino il senso che dedicheremo
allo spazio di questa rubrica: indicare una
realtà che non possiede nome, una realtà per
cui il codice linguistico deve necessariamente
contraddirsi per rappresentarla. La nostra real-
tà, la realtà dell’umanità con i suoi controsensi
e controtempi, con i suoi acuti ed i suoi ottusi
a volte contemporanei e conviventi in una
stessa azione, in uno stesso pensiero, in una
stessa persona.
Ossimori è lo spazio in cui nonostante le anti-
tesi, tutto è armonico, in cui da due termini
contrastanti nasce un concetto nuovo, una
nuova realtà, non catalogata né catalogabile
in acuto o ottuso.
È lo spazio del racconto in cui realtà contra-
stanti si contaminano per dar luogo a qualco-
sa di inedito ed inaspettato, “il carcere” che
diventa luogo creativo (L’esperienza di “made
in carcere” attraverso cui i detenuti danno vita
ad oggetti di abbigliamento o accessori alla
moda), o corrosivo, in cui il colpevole diventa
vittima ed il tutore della legge diventa car-
nefice (mobbing e violenza dietro le sbarre);
è il Natale “dentro” le nostre “case” laddove
per case intendiamo le Comunità, e “dentro”
non significa recluso, obbligato, ma profondo,
come profonda può diventare l’esperienza
della condivisione delle vite, del dolore, degli
sbagli, degli scontri, condivisione che dà alla
luce un nuovo senso, un nuovo mondo, un
nuovo “Io” un nuovo “Tu” un nuovo “Noi”.
Ossimori
Lucia Mielli dal 2012 è un’infermiera
volontaria della Croce Rossa che presta
servizio presso l’ambulatorio del C.A.R.A. -
Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo,
di Mineo (Catania). Itaca per questo numero
ospita il diario delle giornate trafelate di
Lucia al C.A.R.A. e “servirò a poco, servirà
più a me per uscire dalle mille sciocchezze
di cui è merlettata l’esistenza ed immergermi
nell’altro lato, oscuro e spaventoso, della
vita”.
Come nell’ottobre del 2012 ho risposto alla
chiamata della Croce Rossa per prestare servizio
come infermiera volontaria all’ambulatorio del
C.A.R.A.
(Centro di Accoglienza per Richiedenti
Asilo) di Mineo (Catania). Dovrebbe accogliere
2000 persone che fuggono dalle mille guerre
e dalla fame dai posti più disparati dell’Africa.
Dicono che siano arrivati a quasi 5000. Un
piccolo, piccolissimo contributo il mio, un
granello di sabbia in un deserto immenso di
disperazione. Resterò quindici giorni, servirò
a poco, servirà più a me per uscire dalle mille
sciocchezze di cui è merlettata l’esistenza ed
immergermi nell’altro lato, oscuro e spaventoso,
della vita. Quindici giorni di ferie che regalo, per
tentare di scusarmi di come abbiamo depredato
l’Africa di ogni ricchezza, di come noi occidentali
abbiamo alimentato le guerre vendendo armi
per milioni di euro, sperimentando farmaci
(per noi, sulla loro pelle) non portando vaccini
salvavita dall’irrisorio costo di 2 euro. Perché
è nostra responsabilità, tutta occidentale,
l’immane tragedia africana. Il poco che posso,
con tutto l’amore che posso.
Mineo
(Minìu
o Minèu in siciliano) è un comune italiano di
5.172 abitanti della provincia di Catania, in
Sicilia. È situato sulle pendici nord-occidentali
dei monti Iblei. Nel suo territorio, in Contrada
Cucinedda, a 9 km dal centro abitato, si trova
il
Residence degli Aranci
, che dal 2001 al
2011 è stato alloggio delle famiglie dei militari
statunitensi di stanza nella base di Sigonella
ed oggi è sede di un affollatissimo Centro di
accoglienza. Ospita persone provenienti da
quasi tutta la zona subsahariana. Per numero
di abitanti è come una piccola cittadina, quasi
come il paese di Mineo che guarda annoiato
questo spaccato d’Africa dall’alto della sua
collina. Queste persone che scappano dalle
guerre e dalle violenze che funestano tutto
il continente nero vengono nel nostro Paese
per chiedere protezione umanitaria. Il rientro
nella patria natia è per loro impossibile perché
subirebbero ritorsioni e violenze che potrebbero
portare alla morte. Attendono quindi di essere
ascoltati da un’apposita commissione che deve
vagliare caso per caso, per determinare il tipo di
protezione da accordare ad ognuno. Poi viene
rilasciato loro un permesso la cui durata può
variare da alcuni anni a tutta la vita, in base alla
gravità delle violenze subite in patria.
Rispetto ad un po’ di tempo fa la tipologia degli
ospiti del C.A.R.A è mutata profondamente:
prima c’erano molte più famiglie con bambini,
ora il loro numero si è drasticamente
ridotto. In questo periodo il campo è abitato
prevalentemente da giovani uomini o ragazzi.
La gestione di un campo di accoglienza così
grande, il più grande d’Europa, è complessa e
non priva di momenti di tensione. Infatti, gli ospiti,
per motivi di sicurezza, dicono i responsabili
del campo, non possono cucinare nelle case
a loro assegnate e devono consumere i tre
pasti principali, colazione, pranzo e cena, nella
mensa messa a loro disposizione. E così, per tre
volte al giorno, un così alto numero di persone
è costretta a recarsi nello stesso posto e alla
stessa ora. La fila che si forma per consumare il
cibo può durare anche tre ore. Per ogni pasto.
Unodeiluoghipiùfrequentati,puntodiriferimento
per tutti gli abitanti del campo, è l’ambulatorio
pediatrico e per adulti gestito completamente
dalla Croce Rossa Italiana. Il personale medico,
i volontari e le infermiere accolgono ogni giorno
dalle 350 alle 450 persone che si rivolgono alle
cure dei sanitari per medicazioni, terapie orali,
iniezioni intramuscolari ed endovenose, prelievi
ematici, le più svariate urgenze, sostegno
psicologico, azioni di prevenzione, educazione
sanitaria, vaccinazioni, invio agli specialisti
del caso negli ospedali limitrofi. Sul personale
della CRI spesso si riversa tutta la rabbia e le
tensioni della loro esistenza, l’ansiosa attesa
per l’udienza in commissione, le lunghe file per
mangiare ed ottenere altri servizi, l’inattività
forzata, la solitudine, il dolore, l’incertezza del
futuro, la paura di ammalarsi e la paura di vivere
in un luogo sconosciuto.
Durante la mia ultima missione, nel 2014, ho
tenuto una sorta di diario. Ho lasciato fare
alle emozioni nell’incontro con l’Altro.
1ottobre
•
Mineo
.Oggi,54annidall’indipendenza
della
Nigeria
dall’
Inghilterra
. I nigeriani del
C.A.R.A. hanno organizzato una grande festa
che è iniziata con una manifestazione gioiosa
per le vie del campo. La loro bandiera bianca
e verde se la sono tinta ovunque. Stamane, di
fronte all’ambulatorio è passato un cane. Pure
lui pitturato di verde! Indipendenza fittizia. La
Nigeria, uno dei paesi più ricchi al mondo di
risorse naturali. Se si scava con un cucchiaino
si trova petrolio. E oro. E uranio. E gas. E
mille altri tesori preziosi. Peccato che sia tutto
saldamente in mano ai coloni stranieri. Altro che
indipendenza. Shell, ENI, Total, ad esempio.
E non impiegano manodopera locale, se la
portano dai loro paesi. Nulla rimane ai nigeriani
che muoiono di fame e violenze.
3 ottobre
•
Mineo
. Curo persone scampate per
caso alla morte. Il nero della pelle che disinfetto
e medico è lo stesso nero delle migliaia di
cadaveri galleggianti visti in televisione. Mi
turbano i ragazzi arrivati da poco. Minori.
Soli. Gli occhi grandi, spaventati, lo sguardo
basso, sfuggente, non parlano, sussurrano,
non sorridono, si muovono impacciati. Cerbiatti
impauriti. E penso allo spavento, a tutta la
strada percorsa prima di trovarsi qui, sotto le
mie mani. Ansia. Dolore. Vergogna. Mi tormenta
la loro dignitosa disperazione. Ecco lo Straniero.
Ecco l’Invasore. Ecco l’Uomo Nero.
4 ottobre
•
Mineo
. Anche oggi è venuta
all’ambulatorio pediatrico, nigeriana, piccolina
e minuta, pulita e curata come i suoi due
stupendi bimbi di 7 e 18 mesi. Non è allegra e
confusionaria come sempre. Affidiamo i bimbi
ad un’altra mamma e saliamo su al deposito
dei vestiti. Ha bisogno di scarpine chiuse che
ormai piove spesso. La pungolo, le cingo le
spalle e la scuoto sorridendo, ma che c’hai
oggi. Si ferma e mi guarda seria. Col mio
inglese stentato e dai gesti capisco che il marito
è in
Libia
. Si deve imbarcare per raggiungere
finalmente la famiglia, ma sono quattro giorni
che non ha più notizie. Il cellulare non funziona
più. Sono annegati in molti ancora, lo sappiamo
entrambe, succede tutti i giorni, succede ogni
notte. Il pensiero ci va li, a quei corpi gonfi,
galleggianti. Non c’è nulla da dire, se non
rimanere abbracciate, in silenzio, ad assorbire
un poco di calore buono. Aspetteremo insieme
Sophy
, aspetteremo in silenzio.
6 ottobre
• Mineo. Mi sono fidanzata.
Adonay
, 7
anni. Non è andato a scuola per accompagnare
il fratellino all’ambulatorio pediatrico per vedermi
(deliziosa scusa per non andarci). Potrebbe
essere amore. Non so se torno. Capirete...
7 ottobre
•
Mineo
. La grande
Africa
in fuga ha
una sola porta d’uscita, immondo imbuto, la
Libia. Da li passa l’immensa distesa disperata
dei suoi figli migliori. E li, soprattutto i popoli
subsahariani, rimangono imbrigliati come
pesci in una rete, nelle sue carceri, nei suoi
centri “d’accoglienza”. Gli uomini subiscono
feroci torture, le donne, quasi tutte, violentate
selvaggiamente, da un uomo solo, da un gruppo
fino a sfondarle. Di fronte ai mariti, ai figli,
ai parenti. - Quasi tutte le donne africane
immigrate passate dalla Libia che incontriamo
quotidianamente sono state violentate
ripetutamente. Molte arrivano incinte, superati
i tre mesi di gestazione, non più in tempo
per abortire, costrette a portare nel grembo
innocente il frutto di una violenza difficilmente
narrabile. Le vedo muovere nel campo. Come
fanno, mi chiedo, come fanno a trovare un
equilibrio tutti i giorni, la dolorosa decisione di
fuggire, il viaggio atroce di mesi, anni, il deserto,
la Libia, le violenze, il gommone fino alle nostre
coste. E penso a me, al passeggio della mia
città, le donne profumate e belle ridere tra loro. Il
nostro bene, che diamo per scontato e dovuto,
è un pezzettino in un mare di disperazione.
C’è da inchinarsi di fronte a queste donne, a
guardarle negli occhi fin dentro al loro cuore. E lì
la sorpresa, ci trovo sempre un sorriso.
7 ottobre
•
Mineo
. Questo pomeriggio Sophy
è arrivata in ambulatorio, sorridente e bella. Il
marito è vivo! È sbarcato da qualche parte e
sta a Palermo. Quattro giorni di attraversata
dalla Libia fino a qui, i telefoni in alto mare
non funzionano. Chi arriva e non annega poi
chiama... felici...!!!
9 ottobre
•
Mineo
. Immigrati sbarcati. Impauriti,
stremati, devastati, puzzolenti di una puzza
mai sentita, dovevano puzzare così i treni di
Auschwitz, di vomito, di sudore, di terrore,
di quattro giorni sul gommone in mezzo al
mare che non finisce mai, senza cibo, senza
acqua, senza bagni. Sguardi sfuggenti, i capelli
sconvolti. Non capiscono cosa succede intorno.
Si affidano. Guidati fanno file, fanno foto tessera,
ritirano pacchi, camminano storditi. Non sono
rifugiati, sono rifiutati. Rifiutati dal mondo. Dalla
loro terra, dalla terra che sperano li accolga.
Sono rifiuti di un mondo che non li vuole. Rifiuti,
come quelli che produciamo tutti i giorni. Buttati
nel secchio, non ci appartengono più.
10 ottobre
•
Mineo
. La vita è strana... la notizia
è che il marito di Sophy è stato accolto in un
C.A.R.A. del centro Italia. A 40 minuti da casa
mia. Incredibile. Ho indirizzo, nome, telefono.
Appena torno a casa gli porterò foto della sua
famiglia, vedrò come sta, seguirò la situazione
per il ricongiungimento familiare. Sono stupita.
La vita stupisce sempre.
16 ottobre
•
San Benedetto del Tronto
. Ieri
sono andata a trovarlo. Sta in una comunità
di 50 persone richiedenti asilo. Non si trova
a 40 minuti da casa mia, ma a 200 km, al
confine col Molise. Non fa niente, ho ascoltato
musica, ho pensato, ho guardato il panorama
sporco d’autunno. È stato emozionante. Lui si è
commosso a vedere le fotodellamoglie e dei suoi
bellissimi bimbi. Con il mio inglese imbarazzante
e un vocabolario ci siamo capiti. Gli operatori mi
hanno detto che il ricongiungimento dovrebbe
avvenire tra due, tre settimane. Lui ha preparato
regali da portare alla sua famiglia. Oggi la moglie
vedrà le foto di lui che ho già inviato a Mineo.
Questa è una delle tante storie che c’è dietro ad
ognuno di loro, dietro ai titoli dei giornali, dietro
ai numeri dell’immigrazione, dietro alle immagini
degli sbarchi, dietro ai commenti sarcastici e
razzisti delle persone per bene. Il C.A.R.A. di
Mineo va chiuso. È disumano far vivere quasi
5000 persone tutte insieme. È disumano fargli
fare più di dieci ore di fila tutti i giorni per
ottenere i servizi più elementari. È disumano far
vivere condizioni così estreme dopo tutto quello
che hanno vissuto. Non è così che si accoglie
questa umanità disperata. Non è così che si
accolgono i fratelli.
Durante la mia ultima missione nel 2014 ho tenuto una sorta di diario