della relazione di cura. Come previsto dal Codice di
deontologia medica (art. 32),
“il consenso, espresso in
forma scritta, nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per
la particolarità delle prestazioni diagnostiche o terapeutiche
o per le possibili conseguenze sull’integrità fisica si renda
opportuna una manifestazione in equivoca della volontà
del paziente, è integrativo e non sostitutivo del processo
informativo”.
Il consenso informato concettualmente è
nato come strumento per valorizzare il rapporto di fiducia
tra medico e paziente e il modulo scritto ne è la prova
concreta.
L’acquisizione del consenso informato non è quindi una
semplice formalità burocratica, ma è un atto in cui si
forma e si orienta la volontà del paziente e in cui le parti
sono tenute al rispetto del principio di buona fede
ex-art. 1377 c.c.; secondo la sentenza n. 364 del 15.1.1997
della Cassazione Civile Sezione III a tale principio viene
meno il medico che non fornisca informazioni ampie e
esaurienti sulle cure, invalidando il consenso ottenuto
con le conseguenti responsabilità penali e civili.
Quindi la mancata acquisizione del consenso informato
riguardo ai rischi prevedibili di un intervento comporta,
in caso di danno, una responsabilità professionale
del medico anche in assenza di colpa nell’esecuzione
dell’intervento.
L’acquisizione del consenso informato, oltre ad essere
un dovere nei confronti degli assistiti, non ha solo la
mera funzione di tutela medico-legale per il medico,
ma può costituire l’occasione per stabilire un’autentica
relazione tra medico e paziente, invece di una relazione
caratterizzata da una impersonale e meno impegnativa
risposta tecnologica alla malattia.
Il medico nella funzione di pubblico ufficiale
è responsabile del reato di omissione d’atti d’ufficio
(art. 328 c.p.) se nasconde la verità al paziente negandogli
le informazioni dovute, secondo la sentenza n. 3599 del
18.4.1997 della Cassazione, Sezione VI° penale.
L’obbligo principale, quindi, consiste nella idonea e
chiara informazione al paziente circa la complessità della
prestazione sanitaria con riferimento:
• alla diagnosi e alla prognosi
• alle complicazioni derivanti dalla relativa esecuzione
• alle terapie prescritte e alle relative conseguenze.
Le fonti normative che disciplinano il consenso informato
sono scandite nella Carta Costituzionale che,
agli artt. 13 e 32 comma 2, attribuisce al paziente la scelta
di sottoporsi o meno all’intervento terapeutico.
In particolare, l’art. 32 della Costituzione dispone che
nessuno può essere obbligato ad un determinato
trattamento sanitario, se non per disposizione di legge.
Mentre l’art. 13 della Costituzione garantisce l’inviolabilità
della libertà personale, con riferimento anche alla libertà
di salvaguardia della propria salute e della propria
integrità fisica.
•
Libero
: la volontà effettiva del paziente capace
di decidere.
L’obbligo del sanitario di raccogliere il consenso
del paziente deriva dal diritto del cittadino
all’autodeterminazione di sottoporsi, o meno, ad un
qualsiasi trattamento sanitario.
Il diritto all’informativa appartiene, pertanto, a quelli
inviolabili della persona, essendo espressione del
diritto all’autodeterminazione in ordine a tutte le sfere
ed ambiti in cui si svolge la personalità dell’uomo,
fino a comprendere anche la consapevole adesione al
trattamento sanitario (con legittima facoltà di rifiutare
quegli interventi e cure che addirittura possano salvare
la vita del soggetto). Questi precetti costituzionali sono,
poi, specificati dall’art. 33 della Legge n. 833 del 23
dicembre 1978, che esclude la possibilità di accertamenti
e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente,
se questo è in grado di prestare il suo consenso e non
ricorrono i presupposti dello stato di necessità.
•
Revocabile sempre
.
•
Informazione adeguata
:
la formula più o meno ampia del consenso non
previene la conflittualità tra medico e paziente, ma è
determinante la capacità del medico di trasmettere
personalmente con termini accessibili e con sensibilità
umana le informazioni necessarie all’acquisizione di un
consenso. Anche per queste ragioni, è opportuno che
l’informazione necessaria all’acquisizione del consenso
venga fornita all’assistito direttamente dal medico che
pratica il trattamento sanitario. Le varie sentenze degli
ultimi anni, chiarendo gli ambiti di responsabilità del
medico, hanno via via specificato, sempre più in dettaglio,
le informazioni di cui il paziente deve essere edotto ai fini
del consenso. Tra queste, appare degno di nota il fatto
che la giurisprudenza corrente consideri, tra gli ambiti
di responsabilità del medico, anche lo stato di efficienza
e il livello di dotazioni della struttura sanitaria in cui egli
opera. Il sanitario, quindi, deve correttamente informare il
paziente circa la sua attività, quella dell’eventuale équipe
e lo stato delle strutture disponibili. In questo modo il
paziente potrà liberamente e consapevolmente decidere
se sottoporsi o meno all’intervento suggerito. Inoltre,
nel caso la situazione ospedaliera sia oggettivamente
carente, per mancanza di attrezzature adeguate (o per
la presenza di macchinari non funzionanti), il paziente
potrà anche richiedere di essere trasferito in un’altra
struttura più adatta ad eseguire l’intervento proposto:
è il paziente che è chiamato a scegliere e ciò si realizza
solo se messo in condizione di conoscere. L’informazione
non deve colmare la differenza di conoscenze tra medico
e paziente, ma
“il medico deve fornire al paziente la più
idonea informazione sulla diagnosi, sulle prospettive e
le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle
prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico,
nell’informarlo, dovrà tenere conto delle sue capacità di
comprensione, al fine di promuoverne la massima adesione
alle proposte diagnosticho-terapeutiche”
(Codice deontologico art. 30, comma 1).
Settembre 2013 n. 8 -
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