Doc'S n. 7 - Edizone di Ascoli Piceno - page 19

Anche se l’Italia sconta il “digital
divide”, una percentuale sempre più alta
di persone consulta Internet per guarire
i suoi malanni, veri o presunti che siano.
E quando non ci sono spesso li facciamo
comparire. Gli Stati Uniti
anche qui fanno scuola.
Uno su tre. Questo è il
rapporto che descrive
quanti americani
verificano online le
loro
condizioni di
salute
. Il 35% dei
cittadini è andato
su Internet
per scoprire
come sta,
informandosi
per loro stessi o
per conoscenti,
considerando
che l’81% della
popolazione a
stelle e strisce usa
il mezzo Internet.
Questi alcuni dati
del
,
uno studio
americano pubblicato alcuni mesi
fa, che descrive come la disponibilità di
informazioni online si unisce al flusso di quelle ricavate
da interazioni con amici, parenti e fra pazienti o con gli
operatori sanitari.
Il rapporto va ad arricchire la
,
l’evoluzione 2.0
dell’
ipocondria
.
Quando la preoccupazione eccessiva e infondata di una
persona riguardo alla propria salute la spinge a utilizzare
la rete e i motori di ricerca per scovare informazioni, di cui
a volte non verifica la fonte ma che comunque servono a
confermare il sospetto di partenza, spesso infondato, si
rischia di prendere lucciole per lanterne.
E se questo archetipo ha scomodato la letteratura con il
suo
malato immaginario
, l’evoluzione delle tecnologie
per avere conoscenza porta con sé anche l’evoluzione di
questa propensione, non sempre negativa, del fai da te in
campo medico.
.
Se la ricerca di notizie e informazioni viene fatta
con cognizione e competenza, anche
minima, può essere di grande aiuto:
si pensi a quante persone con
malattie rare sono riuscite a
scoprirlo o a trovare cure
tramite forum e scambi
di email oppure
richieste di aiuto
online.
Ma se per un
mal di testa
ci mettiamo
alla tastiera,
scopriremo
che i risultati di
Google aprono
un mondo, a
partire dalla
definzione
corretta del
dolore: sarà
veramente mal
di testa oppure
emicrania, o cefalea?
Considerando che non
tutti hanno ben presente
la differenza dei termini nel
quotidiano uso della lingua, si
capisce che l’utente ‘ingenuo’ può avere
qualche difficoltà. E se invece a digitare la tastiera
è un soggetto che già presenta delle
predisposizioni
all’ipocondria
(stato ansioso o depressivo, ad esempio)
la percezione dei sintomi può venire distorta o
amplificata.
La via più sicura, anche per chi è affezionato a
parole chiave e algoritmi di ricerca, è quella di unire
l’informazione personale, raccolta magari online, ad una
bella chiacchierata con il proprio medico. Male non fa.
di Francesca Gironelli
Ipocondria 2.0 = Cybercondria
quando la tastiera diventa il tuo dottore
Medicina 2.0
Giugno 2013 n. 7 -
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