Itaca n. 9 - page 13

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UNI . VERSI
Coltivare il re-incanto
(Ti donerò Pietra)
Di Catterina Seia
Ogni giorno,
penso che sia un dono immenso
poter camminare accanto a persone
che hanno permesso ai sogni di vivere,
alle paure di trovare rifugio nelle calde
braccia degli ideali
Francesco Cicchi
fase storica di sfide e trasformazioni in
cui, a fronte delle grandi conquiste come
vediamo in questi mesi di dibattito ai
quarant’anni della legge Basaglia. Dalla
segregazione alla dignità crescono i
produttori di muri interiori e le dis-egua-
glianze.
Occorre batterci contro la tendenza ad
“aggettivare”. Tossico. Clandestino.
Disabile. Sono marchi. Le persone non
sono la loro condizione. Non sono la loro
malattia. Il loro ben-essere, va oltre la
presenza o assenza di patologia, come
lo afferma da decenni l’OMS-L’Organiz-
zazione mondiale della Sanità, ma è
socialmente determinato, dipende dai
contesti, dalla capacità delle persone di
esprimere il proprio potenziale. La Salute
di ognuno è Salute di comunità.
Una rivoluzione culturale ci aspetta, alla
quale il mondo della Cultura, che non è a
sé o per pochi, può contribuire, al di là di
esperienze felici ed estemporanee. Per
creare nuovi significati collettivi, una
Cultura dell’accoglienza e dell’inclusione
in una società capace di arrivare, come
mai nella Storia, a traguardi scientifici.
Cerchiamo sempre l’utopia in noi perché
è lì che troveremo la profezia, ci dice
Francesco. La paura di fare porta solo al
non fare.
Donerò Pietra. A molti. Per coltivare il
re-incanto. Perché il nostro tempo, che
invecchia in fretta, è ora.
* “La Fragilità del bene” Martha Nussbaum
con il male. L’ansia di dare che non
permette di vedere. Cogliere la musica
che si nasconde dentro il silenzio delle
creature ferite per cui vale la pena di
battersi ogni giorno, perché tornino a
vivere la dignità. Una scuola di empatia.
Quale lezione appresa? Che tutto ciò
che è fragile richiede attenzione, come ci
ricorda Marta Nussbaum* “una parte
della bellezza posseduta dal genere
umano consiste proprio nella sua vulne-
rabilità. La tenerezza di una pianta non è
la durezza abbagliante di una gemma.
Odisseo scelse l’amore di una donna
mortale anziché lo splendore immutabile
di Calipso”. Che riconoscere la vulnera-
bilità, non negarla, accettarla e rappor-
tarsi ad essa, abbracciarla, partendo
dalla propria, è una risorsa, è energia.
Un biologo marino che, con un incipit
inconsueto ha introdotto un laboratorio
sul terzo settore, mi ha richiamato
l’immagine dell’Aurelia Aurita, la medusa
pelagica molto diffusa ed evitata nei
nostri mari: di una eleganza diafana,
composta quasi completamente d’acqua,
affascinante e spettrale, è capace di
essere urticante e indimenticabile, in
acque più calde, fredde, salate, alcaline
non sopravviverebbe.
Che stiamo imparando a mettere al
centro le potenzialità e non il disagio, ma
questa innovazione sociale è giovane.
Richiede una innovazione culturale
profonda e diffusa, che parte dalla
rivoluzione del linguaggio, avviata ma
non ancora compiuta. Con il linguaggio
configuriamo il mondo, gli diamo forma.
Occorrono forze buone, e molte, in una
porta le persone a specchiarsi, ri-cono-
scersi e riprodurla nella vita. Francesco
e Ama-Aquilone ci portano sul terreno
esperienziale dei beni relazionali, di cui
molti dissertano teoricamente senza
vera conoscenza. Intrecciano indiretta-
mente sul campo più discipline. Antro-
pologia, la filosofia, la sociologia, l’econo-
mia civile. Fiducia, reciprocità, scambi
orientati a produrre capitale sociale,
beni che generano e si ri-generano
senza esaurirsi e non avremo potuto
produrre e fruire altrimenti.
Ho gustato il cibo come le parole del
piccolo libro, un breviario laico che ho
deciso di ri-leggere, in alcuni passaggi,
ogni sera, per prendere confidenza con i
messaggi, enzimi biologicamente attivi.
Ecco emergere Biografie spesso troppo
brevi di nuovi esclusi. Farfalle senza ali
che provano a volare. Incontri con
persone che consentono di avvertire il
senso del possibile. Essere paziente
on il gesto simbolico di un
invito a un dialogo pubblico
da parte di un amico, approda
un piccolo libro sulla mia
scrivania affollata e dischiude un univer-
so.
Un racconto poetico, apparentemente
ingenuo, candido, di una leggerezza
calviniana nella penna. Di chi ha capaci-
tà di ascolto di sé e degli altri prima che
di narrazione, capacità di arrivare a
molti. Di chi non nasconde le “vertigini
dell’anima”, i dubbi del viandante, le
cadute, fondamentali per conoscere il
sapore della terra. Una raccolta di
pensieri di un testimone di vita, di una
comunità educante. Francesco Cicchi
dà voce agli ultimi, li rappresenta con
coloro che hanno la volontà di “far
accadere le cose”, con determinazione
e visione, bandendo lamentatio e
delusioni, già in conto.
Con “Pietra”, in cento pagine di appunti
e contrappunti, incontri, di vite, che
abbracciano un patrimonio di decenni,
ci invita a sospendere il giudizio, riflette-
re sulle esperienze, su ciò è entrato in
noi o è rimasto alla porta e diffondere.
Mi ha presa per mano. E come Alice mi
sono ritrovata una in terra marchigiana
che non si può non amare per la sua
bellezza ferita e per la sua voglia di
ricominciare. A casa di Ama-Aquilone,
che sento mia. Un nome composto che
è già un programma, nato da due realtà
che hanno scelto come terreno da
coltivare ciò che altri leggono come
macerie dell’umanità, sapendo che
“ogni pietra scartata” può diventare
“materiale di meraviglia” (Mt21,42).
Oltre vent’anni fa, antesignane delle
aggregazioni e delle reti necessarie ad
abitare la complessità e la fragilità,
hanno unito le loro forze. Una storia
italiana per il bene comune, fuori dalla
trappola dell’isolamento. Una storia che
fortunatamente non è isolata, configura
un paesaggio di mobilitazione per un
nuovo welfare che ha pochi eguali in
Europa, conosciuto nella prossimità, ma
non ancora abbastanza.
E dopo il libro, inaspettatamente, è
arrivato un altro dono che gli somiglia,
coerente come in un grande affresco
collettivo che si dis-vela e si ri-vela. Una
semplice e raffinata scatola grigia di
Ama Terra, il progetto di agricoltura
biologica sociale, su cui campeggia in
luce una frase di una grazia commo-
vente: “con l’incanto negli occhi”. Tutto,
come nel libro, è visione di mondo.
Trasmette senso di cura e concretezza,
inclusione, rispetto - delle persone e
dell’ambiente, ricerca della qualità,
della produzione di bellezza in ogni
gesto, fuori dalla retorica dominante
della beautification, in cui basta un po’
di bellezza a casaccio per risollevare le
sorti. È frutto di tessitura lenta che
Tossico.
Clandestino.
Disabile. Sono
marchi. Le persone
non sono la loro
condizione. Non
sono la loro
malattia.
C
“L'insegnamento che viene da Pietra”
di Johnny Dotti
“C’è un libro che mi piacerebbe venisse letto da chi nel Terzo Settore esercita ruoli di leadership. Si intitola Pietra ed è stato scritto
dal fondatore di Ama Aquilone, comunità di recupero nell’Ascolano, Francesco Cicchi. (…) Testimonia un fatto fondamentale per
la vita di ogni organizzazione: la centralità dell’esperienza, che invece tante volte viene prosciugata nella transizione verso identità
più istituzionalizzate. La conseguenza è una mentalità che mette il funzionalismo al primo posto, mettendo ai margini quell’esposizi-
one “nuda” al mondo che è l’esperienza. Nessuno mette in dubbio l’efficacia e il valore delle buone opere, che un tempo venivano
chiamate opere di carità. Ma non si deve dimenticare che queste si alimentano con la carità delle opere. (…) Dal punto di vista delle
forme espressive tutto questo si traduce spesso in una prevalenza del pensiero sulla parola. Il pensiero è importante, ma se
sganciato dalla povertà dell’agire quotidiano, può trasformarsi in pretesa, in un esercizio di potere: si proietta sull’altro un nostro
progetto, anche se buono. Il libro di Francesco Cicchi invece vive di parole, come esperienze aperte, come veicoli di storie, spesso
anche come ferite. La parola è coscienza che la fragilità non è solo quella dell’altro. È un campo libero nel quale l’incontro con
l’altro avviene senza precondizioni e dove, come si sperimenta in queste pagine, la relazione è sempre one to one: non c’è chi dà
e chi riceve”.
VIta non Profit, maggio 2018
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