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Di Susanna Marietti, coordinatrice nazionale Antigone
CARCERE E STORIE •
IN-DIPENDENZE
La necessità di un ordinamento penitenziario italiano
qualsiasi tipo, anche quelli che coinvol-
gono la sfera sessualegono la sfera
sessuale – devono essere garantiti e
potenziati.
Le carceri minorili devono essere
governate da regole specifiche,
misura assai più vuota di e di valenza
reintegrativa rispetto alla semilibertà
(checoinvolge poco più di 900 persone)
e all’affidamento in prova ai servizi
sociali (oltre 15.500 persone). Vi sono
poi oltre 12.500 persone che si trovano
in messa alla prova, una misura presen-
te nel codice di procedura penale mino-
rile del 1988 e dal 2014 esportata anche
nel sistema degli adulti. È qui lo stesso
processo penale a venire sospeso, ben
prima dunque della condanna.
La persona è messa alla prova per un
certo periodo di tempo, con un
programma da seguire e sotto il control-
lo dei servizi sociali.
Se la prova ha successo, il reato verrà
estinto. Una misura che nel sistema
minorile ha avuto un indiscusso succes-
so, con tassi di recidiva bassissimi. La
fiducia data dalle istituzioni viene
ripagata dai ragazzi. Le misure alternati-
ve, si badi bene, sono pene a tutti gli
effetti. L’affidato in prova, per fare
unesempio, non vive assolutamente una
vita libera. È supervisionato costante-
mente dai servizi sociali, deve seguire il
percorso rigido che il magistrato di
sorveglianza ha stabilito per lui, vede
tragitti e attività prefissati e immutabili.
Se il decreto dovesse venire approvato,
verrebbero inoltre tutelati coloro che si
trovano ad affrontare una malattia
psichica, la quale verrebbe finalmente
equiparata alla malattia fisica per
quanto riguarda l’incompatibilità con il
carcere e le possibilità di cure esterne.
Infine, ci sarebbero piccoli ampliamenti
della vita interna, come il passaggio da
due a quattro ore minime giornaliere di
permanenza all’aria aperta, la possibilità
di colloqui via internet per i detenuti che
hanno i famigliari lontani, l’introduzione
di un limite massimo per l’isolamento
giudiziario che oggi può durare indefini-
tamente.
Niente di rivoluzionario. Molto meno di
quanto ci si sarebbe aspettati dopo la
condanna della Corte europea. Ma
tuttavia un passo nella giusta direzione,
quella indicata dagli organismi sovrana-
zionali a tutela dei diritti umani. Se
questa riforma verrà bloccata a un
passo dalla sua approvazione, si sarà
persa una grande occasione di civiltà.
L’
“
”
All’indomani della
condanna da parte
della Corte di
Strasburgo per le
condizioni delle carceri
italiane, alcuni
provvedimenti
immediati sono stati
presi al fine di
diminuire il numero dei
detenuti e migliorare la
vita interna.
Le attività
penitenziarie devono
essere ancorate alla
realtà e realmente utili
alla vita della persona,
permettendo un
raccordo con il mondo
del lavoro e con la
società in generale una
volta finita di scontare
la pena.
“
”
ordinamento
penitenziario
italiano, la legge fondamenta-
le che regola l’intero svolgi-
mento della pena detentiva,
risale al 1975. Una legge ispirata a buoni
principi, ma tuttavia specchio di un
carcere che oggi non esiste più nonché
di un mondo molto diverso da quello
attuale. Per fare un solo esempio: non
esistevano allora le nuove tecnologie e
le carceri sono rimaste probabilmente il
solo luogo in Italia dove ancora si dipen-
de dai francobolli.
All’indomani della condanna da parte
della Corte di Strasburgo per le condi-
zioni delle carceri italiane, alcuni provve-
dimenti immediati sono stati presi al fine
di diminuire il numero dei detenuti e di
migliorare la vita interna. A questi, ha
fatto seguito la volontà politica di perse-
guire una riforma più organica,
complessiva, capace di restituire una
nuova idea della pena.
In tale direzione sono andati gli Stati
Generali dell’esecuzione penale, la più
grande consultazione pubblica che
abbia mai riguardato il carcere in Italia.
Lungo gli anni 2015 e 2016, magistrati,
avvocati, operatori penitenziari, accade-
mici, esponenti della società civile
hanno lavorato insieme a rimodellare
l’esecuzione della pena.
Erano 18 i tavoli di lavoro degli Stati
Generali, che si sono concentrati su
altrettanti temi riguardanti il carcere e la
pena. Le relazioni conclusive dei tavoli
guardavano a un carcere capace innan-
zitutto di rispettare i due principi fonda-
mentali che ci arrivano dal Consiglio
d’Europa: il principio di responsabilizza-
zione, che vede nel detenuto un sogget-
to protagonista della propria vita e del
proprio cambiamento, e il principio
secondo il quale la vita interna deve
essere in tutto simile a quella libera, se
non per le strette conseguenze che la
reclusione comporta. Da questi due
principi derivano molte conseguenze.
Le attività penitenziarie devono essere
ancorate alla realtà e realmente utili alla
vita della persona, permettendo un
raccordo con il mondo del lavoro e con
la società in generale una volta finita di
scontare la pena. I rapporti con la
famiglia e con gli affetti – rapporti di
capaci di prendere in carico il ragazzo
responsabilizzarlo in maniera consona
alla sua giovane età. Anche i detenuti
stranieri hanno bisogno di uno sguardo
normativo ad hoc, affinché vengano
davvero garantiti pienamente i loro
diritti. Gli attori esterni, pubblici e privati,
che operano sul territorio devono essere
coinvolti nei percorsi di reinserimento
sociale, per non vanificare il tempo di
esecuzione della pena. Queste e altre le
riflessioni
che si incontrano nelle relazio-
ni finali degli Stati Generali.
Nel giugno 2017, il Parlamento ha
approvato una legge che, tra le altre
cose, delegava il Governo a riscrivere
l’ordinamento penitenziario secondo
una
serie
di
criteri
direttivi.
Alcune commissioni ministeriali hanno
dunque cominciato ad affrontare i
contenuti della delega, sulla base dei
principi usciti dagli Stati Generali.
Purtroppo, molti criteri di delega non
sono stati mai considerati. Altri hanno
visto qualche testo fare un brevissimo
passaggio in Consiglio dei Ministri per
poi, almeno a oggi, finire nel niente. Il
solo decreto delegato che ha una
concreta speranza di trasformarsi in
legge è quello che ha già ricevuto un
primo parere dalle commissioni compe-
tenti di Camera e Senato e che adesso
attende di essere licenziato definitiva-
mente.
In campagna elettorale abbiamo sentito
parlarne come di uno svuota-carceri o
di un regalo fatto alla mafia. Sappiamo
che alzare i toni paga elettoralmente.
Ma chi ha detto questo o è in malafede
oppure non ha letto il decreto. Nessun
pericoloso criminale lascerebbe mai il
carcere se esso venisse approvato.
Quali modifiche porterebbe? Ci sarebbe
innanzitutto un ampliamento del
ricorsoalle misure alternative al carcere.
Niente di rivoluzionario: si amplierebbe-
ro minimamente i criteri per accedervi e
si restituirebbe al magistrato di sorve-
glianza discrezionalità riguardo chi ha
compiuto alcuni reati e ne è oggi
automaticamente escluso. Le misure
alternative risultano in una recidiva
minore rispetto al carcere e sonodun-
que una garanzia per la sicurezza dei
cittadini.
Sono oltre 27.500 le persone oggi in
esecuzione penale esterna.
Purtroppo quasi 11.000 di loro si trova-
no in deten-zione domiciliare, una