Itaca n. 6 - page 11

Di Francesco Cicchi
T
anti anni fa, vivevo in una Comunità di vita. Accoglievamo bambini, persone disagiate,
con cui condividevamo la nostra quotidianità.
Un giorno entrò nella casa un vecchio barbone, nella sua gioventù era stato un gran-
de cuoco, gestore della “Palazzina Azzurra” di San Benedetto del Tronto, Filosofo
della Vita. Nonostante l’esistenza lo avesse gravemente segnato, il suo tratto distintivo era
la signorilità e la sua profonda saggezza. Anche se paradossalmente ero io che avrei dovuto
aiutarlo, mi aveva adottato. Un ragazzo ed un uomo: da questo incontro sono nate conside-
razioni, scoperte, dubbi che prima non mi abitavano, colloqui sul quotidiano, sul vivere, sulla
spiritualità.
La prima cosa che ho scoperto e di cui custodisco gelosamente l’essenza è che nella vita
l’aiuto non va mai da una sola parte. Ci si aiuta, ci si scopre a vicenda, può sembrare banale,
scontato, ma così non è.
Mi diceva,
Hai forte la convinzione delle tue idee, ma ti accorgerai tra tanti anni che saranno
vive e profondamente cambiate solo se sarai aperto alla vita; forse non ti piaceranno nemme-
no, ma esse abitano la tua Anima, altrimenti…
“Altrimenti cosa, René?”
Saranno stanche, perché hanno camminato senza il sole che le illuminava, il vento che le
alleggeriva, l’acqua che le rinvigoriva, la luna che le faceva riposare. Avranno vissuto in una
stanza senza porte. Non sentirai la nostalgia, non apprezzerai la malinconia, tutto ti sembrerà
terribilmente scontato, sterile, non avrai vissuto, ma solo aspettato.
Io ho vissuto, la vita mi ha attraversato e mi attraversa, pure se ho solo un paio di pantaloni, una
camicia usurata da tante notti gelide, dei calzetti che raccontano le strade percorse
.
Mi richiamava spesso, perché vedeva la mia Ricerca spasmodica. Ci confrontavamo anima-
tamente, lo contestavo, dicendogli che non voleva capire.
Adesso capisco che era lui che aveva ragione quando mi diceva,
Non cercare un perché al
“fallimento” della vita delle persone. Non esiste un unico senso di marcia, alcuni giorni voli,
altri strisci, alcuni hai fame, altri sei sazio, tutto in un continuo divenire che costruisce la nostra
storia, che non va capita e studiata, ma accolta ed ascoltata.
Ora comincio a capire quando diceva,
Pensa semplice, non complicare ciò che in Natura non è.
Ciò che è complesso ci rassicura. Ci permette di darci ragione, di non ascoltare ciò che non
vogliamo, di guardare ciò che non ci piace.
Il fatto è che non siamo abituati a cogliere i particolari. Corriamo e non ascoltiamo, guardiamo
e non vediamo.
La sua Spiritualità mi accompagna e mi accompagnerà nel fare quotidiano, nella malattia,
nel sogno. René è morto in un vecchio ospedale di paese, con corridoi lunghissimi e grandi
camerate, un nosocomio non asettico, ma imperfetto, il posto che meglio lo rappresentava.
È morto in una camera grande, con grandi finestre, con tanta Luce.
È morto, vivo.
Sulla sua tomba, invisibile agli occhi di chi guarda, ma visibile alle anime che cercano, sta
scritto: “Il Forse è la Parola più bella, perché apre delle Possibilità, non Certezze. Non cerca la
Fine, ma va verso l’Infinito”, Giacomo Leopardi.
Uni . versi
René
Di Redazione
C
i si aggrappa al concetto di carità come ad un limite esatto che sancisce la differenza
tra vittime e carnefici, tra chi non accoglie e chi viene respinto. Ovvero, chi è al di qua
o al di là della barricata. La protesta di quella piccola zona del Ferrarese che ha “di-
rottato” in altri centri una manciata di donne e bambini, ne è l’esempio più recente.
Solidarietà cristiana, fraternità socialista, compassione liberale, civiltà. Di fronte alla venuta
dell’altro, che si manifesta nella sua semplice quanto “brutale” richiesta d’aiuto, tutte le radici
più profonde della nostra cultura sembrano vacillare. Ci si giustifica chiamando in causa l’i-
gnoranza razzista, oppure l’egoismo che nasce dal niente, quella paura di impoverirsi che
spinge le “periferie umane” a tenersi stretto quel poco che possiedono.
Il nulla che viviamo. Che ci angoscia, ma che non vogliamo condividere con nessuno.
È da qui che nascerebbe il “disonore” di una comunità e quindi di un Paese.
Noi crediamo che la risposta a quello che è stato definito il problema dell’accoglienza sia
l’accoglienza stessa.
Un’apertura istintiva che trascende l’aspetto più strumentalizzabile della carità e che ci rende
esseri umani liberi, capaci di ridefinire ogni giorno ciò che è indispensabile.
Prima di ogni valutazione morale, prima ancora di ogni calcolo
mercificatore, prima di sapere se alla tua tavola ci saranno ladri o santi,

molto prima della conoscenza e della riconoscenza, tu accogli.
È la nostra nuova rubrica. Ogni settimana, un tema affrontato attraverso parole, immagini, suoni. Uno spazio aperto, dai contorni morbidi e senza
un unico punto di vista. Uni, perché l’unione nasce dal racconto di esseri unici. Versi, perché la diversità di espressione è un valore e nessuna voce
può essere esclusa. Punto. Scopri gli hashtag #amauniversi #leggilenuvole
Accogliere
11
1...,2,3,4,5,6,7,8,9,10 12,13,14,15,16,17,18,19,20,21,...24
Powered by FlippingBook