Itaca n. 6 - page 5

carcere e storie
ossimori
“La sua intransigenza sui principi non era
puramente astratta ma era finalizzata a
cambiare le cose”.
Di Franco Corleone
Articolo apparso su “La Società Della
Ragione”, agosto 2016.
N
on è facile dare l’estremo saluto ad
Alessandro Margara
, che ha chiu-
so la sua lunga vita a Firenze, nella
stessa chiesa dove due anni fa gli
fummo vicini in occasione del funerale della
sua adorata compagna di vita
Nora Beretta
.
C’è il rischio di essere sopraffatti dalla com-
mozione per l’addio a una persona a cui era-
vamo molto affezionati. Fino a non molto
tempo fa molti di noi ricorrevano a lui per
chiedere consiglio, per sciogliere nodi che
solo la sua sapienza era in grado di fare. Mar-
gara era generoso e non aveva il problema di
apparire. Non amava il potere, all’auto blu
preferiva la bicicletta. Era però molto autore-
vole ed era molto amato.
Nel dicembre scorso aprimmo un convegno
sulla riforma penitenziaria del 1975 con la
presentazione della raccolta di scritti di Mar-
gara intitolata “La giustizia e il senso di uma-
nità”; una antologia di quattrocentocinquanta
pagine sulle questioni del carcere, degli Opg,
delle droghe e sul ruolo della Magistratura di
Sorveglianza. La mia prefazione è intitolata
Il
cavaliere dell’utopia concreta
e ripercorre la
sua straordinaria vicenda umana, dedicata
alla costruzione di un modello di pena costi-
tuzionale e quindi di una galera in cui si realiz-
zi il principio del reinserimento sociale scritto
e prescritto dall’art. 27 della Costituzione. La
ricchezza del suo pensiero espresso in tanti
saggi, articoli, documenti, proposte di legge,
“lettere scarlatte”, è davvero impressionante.
Scelse lui il titolo e la copertina quando con
Corrado Marcetti
,
Nicola Solimano
e
Save-
rio Migliori
gli portammo le bozze. Quando
gli consegnammo il volume stampato e gli
dissi che aveva scritto molto, mi rispose con
una sola parola: “Troppo”. La verità è che ha
scritto molto e bene in un bell’italiano, com-
prensibile a tutti, senza nascondersi dietro
espressioni gergali. Il suo sapere giuridico era
così profondo che lo sapeve rendere in modo
apparentemente semplice.
È un volume che il Dipartimento dell’Ammi-
nistrazione Penitenziaria dovrebbe diffondere
in tutte le carceri e farne la base della forma-
zione di tutto il personale. Sandro Margara ha
ricoperto molti ruoli e in tutti ha segnato la
sua presenza e il suo passaggio con un’im-
pronta indelebile. Come giudice di sorve-
glianza è stato un maestro per i suoi colleghi
e un mito per i suoi “clienti”, i detenuti che sa-
pevano che c’era un giudice per gli ultimi. Ri-
cevette la nomina a capo del Dap da parte del
ministro
Giovanni Maria Flick
dopo la tragica
e improvvisa scomparsa di
Michele Coiro
.
Quella nomina rappresentò una svolta sim-
bolicamente rivoluzionaria, e accese davvero
la speranza dei detenuti e anche di molti ope-
ratori. Il suo licenziamento preteso dal potere
sindacale e concesso dalla subalternità della
politica dette il segno della restaurazione.
Poi per lui venne la presidenza della
Fonda-
zione Michelucci
e infine l’incarico di primo
Garante delle persone private della libertà
della Regione Toscana che lasciò dopo aver-
ne precisato i compiti e il ruolo e volle che
fossi io il suo successore.
Ho avuto la fortuna di essere vicino, di col-
laborare e di confrontarmi con Margara per
tanti anni e il frutto di questa vicinanza ha
prodotto tanti risultati. Voglio ricordare so-
prattutto la scrittura del Regolamento peni-
tenziario del 2000 e la costruzione del Giar-
dino degli Incontri nel carcere di Sollicciano.
Molti hanno conosciuto e amato l’uomo in-
telligente, acuto, capace di ironia acuminata
accompagnata da coraggio intellettuale e da
assoluto rigore morale. La sua intransigenza
sui principi non era puramente astratta ma
era finalizzata a cambiare le cose.
È stato un intellettuale a tutto tondo, curio-
so e capace di affrontare temi che poteva-
no apparire fuori dal suo orizzonte. Mi piace
ricordare che non ha solo polemizzato tante
volte sul mensile Fuoriluogo e sulla rubrica
del Manifesto contro la legge Fini-Giovanardi
ma ha anche scritto il saggio più importante
di critica del proibizionismo sulle droghe.
Aveva coniato la definizione del carcere
come discarica sociale e aveva l’ansia per la
fine dello stato sociale.
Le sue ultime e disincantate domande avan-
zate al Convegno su “Il carcere al tempo della
crisi”, sono lì che ci interrogano. Tutti. Ama-
ramente affermava: ”Forse i progetti sono
consentiti solo ai vecchi, che sono gli ultimi
giovani (o illusi) rimasti. Non è possibile stare
zitti, anche se parlare fosse solo consolatorio”.
Gli Stati Generali dell’esecuzione penale,
voluti dal ministro
Andrea Orlando
, hanno
coinvolto tante energie in uno sforzo riforma-
tore condiviso, capace di rieducare il senso
comune avvelenato da troppi anni di retorica
securitaria e di demagogia degli imprenditori
della paura. Se si vuole la riforma, anche par-
ziale, si dovrà ripartire dalle proposte di Mar-
gara, a cominciare dalla affettività in carcere,
dall’abolizione dell’ergastolo, almeno quello
ostativo, e dalla modifica   del 41bis per evi-
tare almeno le censure per la violazione dei
diritti umani. Margara è stato un riformatore
incorreggibile e le disillusioni hanno accen-
tuato una radicalità politica, non la resa. Ci
mancherà anche la sua convivialità, il suo
amore per la buona cucina e il buon vino.
Nei prossimi mesi finalmente si chiuderà
l’Opg di Montelupo per cui tanto si impegnò
Sandro Margara e dedicheremo a lui quel so-
gno che diventa realtà.
Tocca a noi ora essere
alla sua altezza e non mollare.
Carcere, la riforma nel nome di Margara
La nostra realtà, la realtà dell’umanità, con i suoi controsensi e controtempi, con i suoi acuti ed i suoi ottusi, a volte contemporanei e conviventi in
una stessa azione, in uno stesso pensiero, in una stessa persona.
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