Itaca n.1 - page 28

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sulle mie cattive strade
estratti dal blog ama-aquilone
Storie di vita da “Le mie cattive strade” di
Amilcare Caselli
Avevo 14 anni, ricordo che mi avevano appena
comprato il motorino, con gli altri volevamo
fare i grandi sotto i palazzi, le case popolari di
un paese in Umbria a 15 km da Terni.
Bene o male ci provavo a stare con ragazzi di
famiglie più benestanti della mia, ma mentre
loro non si facevano problemi per uscire o
andare ai concerti, io dovevo rubare 50mila
lire a mio padre per andare con loro. Sentivo
il disagio. Sentivo che non ero come loro. Mi
sentivo già diverso, forse perché sono mezzo
russo da parte di mamma. Decisi allora di
mettermi con chi stava come o peggio di me.
Con mio fratello, che è un po’ più piccolo,
cominciammo a legare con gli ultras della
Ternana. Era il ’98 e le canne erano all’ordine
del giorno. Allo stadio gli ultras erano tutti più
grandi di me e di sballoni lì ne giravano tanti
anche allora. Ti senti importante allo stadio
con gli ultras. Senti di essere in un gruppo ed
io ero anche con mio fratello. Era divertente,
anche se ero timido e stavo da parte, io sono
timido anche adesso ma tra gli ultras c’era
di tutto; chi pippava coca, chi calava le pas-
ticche. Al circoletto l’alcol era “la base” per
sballare, poi le canne e tutto il resto.
Così cominciai a non tornare a casa la sera.
Restavamo in giro per Terni senza una lira,
cercando il modo di alzare qualche soldo. Il
pranzo o la cena non erano mai sicuri. Mia
madre non mi diceva più niente ormai. Era
divorziata da poco da mio padre e quindi
avevano i loro cazzi da pensare. Mamma è
russa, alta e bionda come me. Mi sentivo
diverso, straniero anche io; pensa che da
piccolo parlavo anche il russo ma ormai non
ricordo più niente perché penso di essermi
un po’ bruciato il cervello come si suol dire.
Speriamo che ‘sta storia sia in parte recuper-
abile, sono preoccupato perché tante cose
sono come cancellate dalla mia testa, non ho
più la sveltezza di un tempo. A volte mi sento
fuori dal mondo.
Riguardo mio padre, lui non aveva parenti,
quindi non c’era una famiglia vera e propria
con gli zii i parenti e tutto. In quel periodo smisi
pure di andare a scuola. Facevo le collette per
strada e piccoli furti, scippi. Quello fu il periodo
in cui si provava di tutto: canne, trip e pastic-
che. La “roba” c’era e vedevo in giro gente
già rovinata che ti parlava male dell’eroina, ci
provava ad avvertirti, perché loro ci si erano
infognati, ma ti facevano intendere che era  un
mondo misterioso, pieno di fascino, dove ti
potevi perdere. Tra gli ultras c’era anche chi
si faceva, ma non era discriminato, anche tra
noi qualcuno si bucava ma non gli dicevamo
niente.
Alla sala giochi il mio amico aveva cominciato
a farsi da poco e quella sera aveva una busta
da vendere. Io c’avevo quasi 16 anni e 50mila
lire in tasca, me la sono comprata e così mi
sono fatto la prima pera. Formammo una clas-
sica coppia tossica con questo mio coetaneo.
Iniziai ufficialmente a farmi.
Ricordo che in quel periodo avevo la testa
confusa, impicciata; per un incidente col
motorino entrai in coma, uscito dall’ospedale
mi  sentivo debole mentalmente, mi sentivo
trasportato dagli altri, a volte quasi succube.
Avevo la testa da un’altra parte. Anche questo
mio amico si approfittava di me e del mio car-
attere timido, qualche sòla me la dava anche
lui. Poi arrivarono in zona gli albanesi, che la
roba te la regalavano. Davvero, a volte gli por-
tavi un paio di scarpe e loro ti davano la roba.
Mi volevano bene gli albanesi, mi trattavano
bene e per uno stereo rubato da buttare via mi
davano un pezzo (grammo). Erano quasi come
una famiglia, la mia famiglia di stranieri come
me. Mi avevano preso a cuore, anche se oggi
mi rendo conto che stavano facendosi il giro
dei clienti.
A quel tempo avevo paura che mio fratello
potesse cominciare lui per primo a farsi ed
invece cominciai io. Lui uscì dagli ultras per
cominciare a frequentare i centri sociali. Ne
fondò anche uno a Terni. C’era tanta gente
e dj che suonavano tecno, tanti appassionati
di musica e di rave. A lui piaceva ma io mi
facevo già troppo per avere tempo di pen-
sare alla musica. Ogni tanto però andavo a
qualche “rave” con lui. Dopo qualche tempo
cominciai anche io ad organizzare qualche
raduno tecno. Nel 99 o 2000 il rave era una
occasione per stare insieme, con la musica
che ci piaceva, con gente anarchica ed una
vita sociale diversa, eravamo una comunità.
Quelli che venivano ai rave erano come me,
una comunità anarchica con la passione per le
droghe e per la musica tecno, senza pagare il
biglietto della discoteca. Un po’come i centri
sociali autogestiti.
Poi i rave sono diventati il luogo dove giravano
tanti soldi. Ma tanti soldi eh. Li organizzavamo,
ed alle volte riuscivi a rifare le spese solo col
bar, perché di spese comunque ce ne erano:
l’affitto del terreno, i furgoni, l’amplificazione
e tutto il resto, ma già solo poco tempo dopo
capimmo che i soldi veri te li portavano lo
spaccio delle pasticche e tutto il resto. Nei
rave si trovava veramente di tutto, se la festa
era grande, (ed ai tempi erano gigantesche,
duravano giorni) gli spacciatori arrivavano da
tutta Italia, con tutte le droghe possibili ed
immaginabili, ma fino al 2000 la roba, l’eroina,
era out dalle feste e dai rave. Se la cercavi
poteva capitare che ti cacciassero via a calci.
Invece, dopo qualche anno quelli delle pastic-
che stavano peggio degli scoppiati di eroina.
La chetamina e l’ecstay avevano fatto un bel
lavoro. E poi come. Tutti scoppiati. Tutti fuori
di testa.
Il mondo dei rave, fai conto che era come il
paese dei balocchi di Pinocchio. Trovavi di
tutto e tutti sapevano tutto: cosa portavano,
a quanto vendevano e che pasticche aveva
quello… un altro si portava un bidone di
chetamina e te ne cuoceva un tegame lì per
lì. I canali di rifornimento erano autogestiti,  ad
esempio c’era quello che andava in India a fare
il pieno di chetamina o quello che portava la
coca dal Sudamerica ficcata nel culo o nello
stomaco, pieno di ovuli.
Avevamo visto come facevano altri, così con
mio fratello, un’estate affittammo un camper
e siamo arrivati fino a Londra. Chiedemmo un
po’ in giro, circospetti, impauriti; ma di chet-
amina te ne davano subito quanta ne volevi.
Non c’era problema. Noi eravamo due imbe-
cilli venuti dalla provincia, ma come niente
riempimmo il boiler della doccia di 150 lt di
chetamina veterinaria liquida e poi comincia-
mmo a girare per feste e rave di tutto il nord
Europa. I soldi per la sopravvivenza non erano
un problema, con la cheta stai in un mondo
parallelo fatto di positività ed amore. Noi ce
ne avevamo 150 lt in bagno. La vendevamo
alle feste in Olanda oppure a Berlino, perfino
in Cecoslovacchia. Facemmo questa storia
del camper col boiler alla chetamina diverse
estati. Finito il fusto si tornava a casa. A volte
stavamo fuori per tutta l’estate. Sognavo un
camper tutto mio, pieno di roba, in giro per
feste da sballo.
Come ho detto nel bagno del camper aveva-
mo il rubinetto che pisciava chetamina. Averla
liquida fa meno sospetto, sembra acqua. Apri
il rubinetto, la metti nel bicchiere poi la tiri con
la siringa, a seconda della concentrazione al
2 o al 4%, al cliente ci davi la siringa con il il
liquido,  se la voleva in polvere la mettevamo
nel pentolino sul gas acceso del cucinotto e
dopo un po’ diventa polvere. Facevi la busta
con la stagnola, ti pagava e via.
La chetamina è strana perché all’inizio te ne
basta poca, uno due milligrammi e per quasi
una settimana stai stravolto. Poi c’è un’assue-
fazione assurda. Se un mese prima prendevi
0,1, il mese dopo già devi pippare un grammo
al giorno per stare bene come dici tu. Molti poi
con la chetamina cominciano a bucare subito
intramuscolo, anche io, perché non ne sprechi
niente, sale prima e ti da la botta.
Quello dei rave in Europa era un mondo
magico. Per anni è stato tutto facile e senza
rotture di coglioni da nessuno. Pensa, noi la
chetamina la pagavamo 10 euro al litro e  la
rivendevamo a 40 euro al grammo, ma non
lo facevamo per i soldi, quelli finivano sempre
per la coca, perché intanto, io e mio fratello,
pippavamo coca già come matti. Con quel
camper poi tornavamo in Italia, con un po’ di
chetamina da vendere, se andava bene, per
tirare avanti ancora un po’.
Come ho detto, dopo un po’ entrò la coca
e qualche mese dopo ero completamente
cocainomane. Mio fratello peggio di me. La
chetamina era diventata come una canna,
se c’era bene, se no amen. L’importante era
che dovevo avere minimo 5 grammi di coca
al giorno.
La coca la trovavo sempre nel giro dei rave,
delle feste che era come un mondo a sé, dove
tutto era permesso, un mondo anarchico,
ad ogni festa c’era quello che era stato in
Sudamerica ed in qualche modo era riuscito a
riportarsi un chilo di coca oppure due sacchi
di pasticche da Amsterdam. Nelle piazze o
nei quartieri delle droghe, tipo Napoli, noi non
ci andavamo mica. In quel giro, a quei tempi,
avevi tutto quello che volevi.
Dopo qualche tempo però, la scimmia di coca
era totale. Per calmare lo speed della coca
riprendemmo a farci di brutto di ero e subito
la dipendenza diventò doppia. Di rave e di
feste ce n’erano sempre meno, c’erano tanti
morti di overdose che finivano sui giornali e
la pula ci stava addosso. Per trovare la roba
o la coca allora si andava a Perugia. Perugia
era davvero meglio (o peggio) di Napoli. a
Napoli devi per forza andare nei quartieri che
sono davvero sputtanati e pericolosi mentre a
Perugia la trovavi davvero dovunque. Ogni 20
mt incontravi qualcuno che vendeva. Manco
dovevi chiedere, ti chiamavano loro e si con-
tendevano il cliente.
A volte mi sono chiesto come mai tutta quella
roba a Perugia, che sembra una città così tran-
quilla; parlando con i miei ex amici dei centri
sociali ci dicevamo che Perugia, negli anni 70
ed 80 era molto politicizzata e già da allora,
come in altri posti dove c’erano tanti centri
sociali, dopo qualche anno, il sogno anarchico
finiva e girava solo tanta roba. Tanti scoppiati.
Come ci avessero lasciato fare con comodo
per ritrovarci poi col cervello fritto. Poi credo
che comunque il mercato dei clienti a Perugia
c’è, con tutti quegli universitari. Infine l’ondata
di africani ma non solo, c’è gente da tutto
il mondo che spacciano quello che vuoi. A
Perugia trovavi tutto, da tutto il mondo. Senza
problema.
Così la mia dipendenza era arrivata al punto
che al mattino dovevo avere subito l’eroina, la
scioglievo nel metadone per avere più durata
e quella mi faceva da base per la giornata
che andava avanti sopratutto con la coca,
per sballare. Le pasticche ormai le prendevo
quasi come un diversivo, una droga leggera
per divertirmi. Pensa che la chetamina la chi-
amavamo “il paracadute”, la prendevamo per
smorzare l’effetto brutto del calo della coca.
Se ripenso agli impicci ed imbrogli che facevo
per mantenermi questa vita… ci volevano un
sacco di soldi. Così provai un paio di volte a
disintossicarmi in comunità, senza tanti risulta-
ti devo dire, fino ad adesso.
In quei periodi non pensavo niente altro che ad
avere come minimo un grammo di ero con due
pezzi di coca al giorno. Risolto quello il resto
veniva da se. Non c’erano altri obbiettivi, fig-
uriamoci un lavoro. Le altre passioni come gli
ultras, il centro sociale, la musica, erano morte
e dimenticate da tempo.
Era tutto un enorme casino, i rapporti con le
donne non erano da meno. Con quella ragazza
in particolare diventò un impiccio grosso come
una casa. Solo poi ho capito che quella era
fuori di testa più di me. Si mise con me solo
perché si voleva fare sempre di più, le piacev-
ano i fattoni ma non era solo tossica, era pure
matta. Forse già prima di farsi bruciare il cer-
vello dalle pasticche. Matta come un cavallo,
ne uscivano tragedie, e con la coca  di mezzo
non hai scampo. Stavo diventando matto pure
io e quella volta ho scelto la comunità più per
troncare con lei che con le sostanze…. per un
periodo ho fatto pure finta di non vedere quello
che combinava. Poi la lasciai definitivamente.
Da poco ho sono venuto a sapere che sta
male. È sieropositiva.
Anche se poi la motivazione definitiva che
mi ha costretto a rientrare in comunità per la
seconda volta furono i problemi giudiziari; il
carcere o la comunità insomma. Oggi ho 31
anni e mi sembra di aver vissuto già troppo.
Non mi è rimasto niente per le mani se non la
paura di quando uscirò da questa comunità.
Perché fuori è durissima. La settimana scorsa
sono tornato a casa per una verifica, ma a
casa non c’è nessuno. Mi sento solo anche
quando torno qui. Non ho nessuno e la solitu-
dine mi tira giù. Mi affoga.
Un Camper da Sogno
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