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Nelle carceri italiane più del 35%
delle persone, cioè di possibili in-
nocenti, è in attesa di una sentenza
definitiva.
Di Associazione Antigone
N
el 2011, andavo in carcere
una volta a settimana per
tenere un corso di giornali-
smo ai detenuti, in Ancona,
nelle Marche, la regione da cui proven-
go. Un giorno arrivai prima del tempo e
mentre stavo entrando un ragazzo ve-
niva rilasciato. L’agente all’ingresso
stava svolgendo le pratiche, mi guardò
e mi chiese se volessi dare un passag-
gio fino alla stazione ferroviaria a quel
ragazzo che veniva rilasciato, visto che
gli autobus passavano di rado. Risposi
che ero disponibile”. Ha iniziato il suo
discorso raccontando una esperienza
personale.
Giulia Torbidoni
, presidente
di
Antigone Marche
, ha rappresentato
l’Associazione Antigone al convegno
“Errors in the exercise of jurisdiction:
How to prevent them and how to
support improperly charged persons.
A European approach”
(Errori nell’e-
sercizio della giustizia: come prevenirli
e quale supporto dare alle persone in-
teressate) che, organizzato dall’eurode-
putato
Brando Benifei
, del
Gruppo
dell’Alleanza Progressista dei Socia-
listi e Democratici (S&D)
, si è tenuto lo
scorso 18 ottobre presso il
Parlamento
Europeo
di
Bruxelles
. “Appena saliti in
macchina – ha proseguito - il ragazzo
mi disse di non aver paura di lui e mi
fece vedere il fax che non più di due ore
prima il tribunale aveva mandato al car-
cere. Un fax in cui si ordinava l’imme-
diata liberazione di quella persona per-
ché veniva assolto per non aver com-
messo il fatto”.
Il ragazzo in
questione era
entrato pochi giorni
prima del suo
ventesimo compleanno
e veniva rilasciato po-
chi giorni dopo averne
compiuti
ventidue. Aveva
passato in prigione due
anni, tra i 20 e i 22,
anni che sono sicura
ognuno di noi qui
dentro si ricorda con
particolare gioia e
trasporto. Lui li aveva
passati in carcere,
senza aver commesso
il fatto.
Al tavolo dei relatori, oltre a Benifei e a
Torbidoni, la dott.ssa
Isabelle Pérignon
,
in rappresentanza della
Commissione
Europea
e i rappresentanti di organizza-
zioni come
Associazione Italiana Vitti-
me di Malagiustizia
e
Fair Trials
.
Nel suo intervento, Giulia Torbidoni ha
citato, poi, i numeri più recenti delle
presenze nelle carceri italiane:
57.661
persone private della libertà personale
(a 30 settembre 2017) rispetto a una
capienza regolamentare di
50.508
po-
sti. “Il
35,5%
delle persone attualmen-
te in carcere – ha detto – non ha una
sentenza definitiva: stiamo parlando di
oltre
20mila
persone che sono in attesa
della sentenza di Appello o Cassazione
o, addirittura, di quella di primo grado.
Quindi, visto che il sovraffollamento è
ben lontano dall’essere superato, si po-
trebbe anche incidere sulle detenzioni
cautelari per risolvere il problema”. An-
tigone ha partecipato alla realizzazione
di una indagine su scala europea insie-
me a
Fair Trials
dedicata proprio alla
detenzione come misura cautelare. “Da
questa indagine – ha spiegato Torbido-
ni – emerge che in Italia ci sono quattro
macroproblemi da affrontare. Il primo è
stato sollevato dagli avvocati e riguarda
il tempo a disposizione per visionare il
fascicolo del proprio assistito”. Di solito
si tratta di mezz’ora, uno spazio di tem-
po insufficiente a capire bene la situa-
zione, si pensi ad esempio al caso degli
stranieri e della difficoltà di comunica-
zione, e a poter richiedere al giudice di
applicare strumenti diversi dalla misura
cautelare del carcere. Il secondo è “la
differenza di trattamento tra cittadini
europei e quelli extra europei”. Ai se-
condi, infatti, si tende a dare di più il
carcere come misura cautelare perché,
magari, non hanno un domicilio o per-
ché, in mancanza di documenti, si pre-
sume che siano più inclini a trasgredire
le regole. Il terzo fattore è ammesso dai
PM: “Ci si fida poco delle alternative”
e, per ultimo, “non c’è l’obbligo di una
valutazione della misura e la revisione
deve essere sempre richiesta dalla par-
te interessata”, cioè dall’avvocato della
persona privata della libertà personale.
“Tutti questi problemi, però, potrebbe-
ro avere delle soluzioni neanche trop-
po complesse a volte. Ad esempio, per
quanto riguarda il fascicolo, basterebbe
inviarlo elettronicamente all’avvocato
così come già viene fatto per la comu-
nicazione della data dell’udienza, e, per
quanto riguarda la comunicazione tra
avvocato e assistito, bisognerebbe ga-
rantire un efficiente servizio di traduzio-
ne e mediazione nei tribunali”. Inoltre,
si dovrebbe coinvolgere nell’udienza
anche “i servizi sociali, perché possono
aiutare a trovare soluzioni che evitino
il carcere”. Semplici strumenti, quindi,
che, però, permetterebbero una mag-
giore qualità dell’udienza. In questo
modo, si risolverebbero alcune delle
distanze di trattamento tra cittadini eu-
ropei ed extraeuropei, anche se, a tal
proposito, “bisognerebbe fare politiche
di investimenti per realizzare strutture di
alloggio in cui poter far eseguire misu-
re cautelari domiciliari – ha continuato
Torbidoni - permettendo così anche
agli stranieri che non hanno un domi-
cilio o una residenza di poter scontare
la misura cautelare in un luogo diverso
dall’istituto penale. Inoltre, si dovreb-
be ampliare la dotazione di strumenti
elettronici (i braccialetti) e si dovrebbe
introdurre l’obbligo di un riesame perio-
dico d’ufficio della misura, così da mo-
dificarla e mitigarla. Dal 1992 ad oggi –
ha concluso – lo Stato italiano ha speso
648 milioni di euro per risarcire i casi di
ingiuste detenzioni, come quella subi-
ta dal ragazzo che ho accompagnato
alla stazione. Bisogna iniziare a pensa-
re che la vera applicazione dei diritti fa
bene a tutti: alle persone, che evitano
l’ingresso in carcere, un luogo che inci-
de profondamente sugli esseri umani, e
anche alle casse pubbliche, cui siamo
tutti tanto sensibili”.
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