Spazio al Lavoro n. 1 del 2014

| 3 spazi o lavoro a l azione lavorativa della nostra Regione. La lettura dell’economia valdostana lascia pochi margini di incertezza. A fine 2012 il liv- ello della produzione sarebbe in- feriore del 5,5% rispetto al 2007, ultimo anno pre-crisi; peraltro si deve sottolineare che, nello stes- so arco temporale, il Pil italiano si sarebbe contratto del 6,9%, quello dell’Italia nord occidentale del 5,2%, quello della Provincia di Trento del 5,6%, mentre per la Provincia di Bolzano si registre- rebbe un modesto saldo positivo con un +0,3%. Questo risultato si è prodotto attraverso andamenti contrastati negli anni, il culmine delle criticità si osserva nel 2009, anno in cui il Pil regionale si con- trae in termini reali del 5,8%, al momento, per il 2013 viene stima- to un saldo negativo pari a circa -1,9%. Soltanto a partire dal 2014 le previsioni indicano un modesto, quanto incerto, saldo positivo del- la produzione. Appare chiaro che l’economia valdostana è frenata sul piano interno, dove i consumi privati si sono contratti, in con- seguenza della marcata riduzione del reddito disponibile, causata da politiche fiscali restrittive e dalle sfavorevoli condizioni del merca- to del lavoro, e parimenti gli in- vestimenti registrano una brusca caduta, spiegata principalmente con le difficoltà sul lato della do- manda, con le criticità di accesso maggiore confederazione sinda- cale tedesca (DGB) e dalla richies- ta della Confederazione Europea dei Sindacati (CES) di un Piano Straordinario dell’Unione Euro- pea per la crescita e l’occupazi- one. Ciò che accomuna queste diverse strategie è l’idea che le politiche di austerità non aiutano a uscire dalla crisi anzi la peg- giorano, e che sia necessario un New Deal in Europa per garantire sviluppo e lavoro”. Dal nazionale al locale dove la difficile congiuntura economica, la crisi, è arrivata e anche in Val- le d’Aosta ha colpito duramente portando via lavoro, occupazione e mettendo in crisi le aziende. “Come dicevo all’inizio della mia relazione dai nostri congressi di categoria è emerso un quadro tutt’altro che positivo della situ- colpendo la componente sociale che dovrebbe essere motore pro- pulsivo di idee per lo sviluppo che il paese rischia di disperdere.Mi piacerebbe poter parlare di dati confortanti, ma questa è la realtà con la quale dobbiamo confront- arci e dalla quale occorre uscire nel più breve tempo possibile. Il declino economico del paese affonda le radici da un lato nella debolezza strutturale del nostro tessuto produttivo (bassa produt- tività del capitale prima ancora che del lavoro, specializzazione manifatturiera mediamente a basso valore aggiunto, piccola dimensione d’impresa, insuffici- ente innovazione di processo e di prodotto,…) e dall’altro nelle for- ti iniquità nella distribuzione del reddito nazionale: in vent’anni il differenziale tra la massa sala- riale e l’ammontare di profitti e rendite è pari a mille miliardi di euro. L’Italia, purtroppo, si collo- ca al sesto posto nel mondo per le disuguaglianze nella distribuzi- one della ricchezza, basti pensare che il 10% delle famiglie detiene il 46,6% del patrimonio totale.È una situazione paradossale che congela quote impressionanti di ricchezza che non sono trasferite all’economia reale e generano solo rendita” Un rilancio che stenta a decollare ma al quale la Cgil dà il suo con- tributo con proposte concrete “Per la Cgil esistono per il nostro paese significativi margini per trovare la via d’uscita dalla cri- si: dalle risorse derivanti da una vera lotta all’evasione fiscale (ogni anno 130 miliardi di mancato get- tito) e dalla correzione di altre dis- torsioni tipiche del sistema fiscale nazionale, grazie all’introduzione di un’imposta sui grandi patrimo- ni finanziari, già in essere in altri paesi europei, con un possibile recupero di 10 miliardi di euro all’anno. Queste sono alcune delle proposte contenute nel Piano del Lavoro della Cgil, presentato nel 2013, che si basa su una logica di politica economica neokeynes- iana da opporre al liberismo fi- nanziario, senza regole su cui si è attestata, non da oggi, la politica italiana. Il Piano del Lavoro del- la Cgil è per una crescita basata sull’innovazione, sulla necessità di coniugare la ripresa economica con forti investimenti in tecnolo- gia che permettano la creazione di posti di lavoro qualificati. Ques- to perché l’Italia ha accumulato troppe arretratezze in molti campi che rendono bassa la produttività di sistema e la sua competitività. La Cgil col suo Piano, si muove nella stessa direzione del “Nuovo Piano Marshall” formulato dalla tivo, un’Europa chiusa nella logi- ca soffocante del Fiscal Compact, incapace di stimolare la ripresa economica dei paese membri”. Tanti gli argomenti toccati ad ini- ziare dall’Europa, un’Europa che non deve opprimere l’economia delle nazioni che la costituiscono ma deve rilanciarle, aiutarle nel loro sviluppo e nella loro ripresa e per questo “Vanno superate le scelte dettate da un eccessivo rig- ore e, con una prospettiva di lun- go termine, attivare investimen- ti massicci per dare alle nostre economie un nuovo inizio, basato su una crescita sostenibile. La Cgil ha proposto quale obiettivo inves- timenti annui pari al 2 % del PIL dell’UE per un periodo di dieci anni al fine di favorire gli investi- menti privati e promuovere misure di modernizzazione su vasta scala. Tali investimenti potrebbero con- correre a costruire una forte base industriale, servizi pubblici effici- enti e di qualità, sistemi di welfare inclusivi e supportare la ricerca anche attraverso istituzioni edu- cative innovative. Sono stati spesi 1.000 miliardi di Euro per mettere in sicurezza il settore finanziario; 1.000 miliardi di Euro si perdono ogni anno a causa dell’evasione e della frode fiscale. Da qui non si potrebbero trarre risorse per l’oc- cupazione, mettendo in circolo al- meno 250 miliardi di euro?” Da un Europa di rigore ad un’Ita- lia che sembra subire le scelte dettate da Bruxelles invece che esserne parte “Nel contesto italiano i lacci stretti di Bruxelles e la crisi hanno creato un mix drammatico che ha messo in ginocchio l’economia del nostro paese. Il dramma nel dramma è che la politica non è riuscita an- cora a dare risposte, a creare vere soluzioni alle necessità dei lavoratori e delle aziende, priva di una visione a lungo termine e vincolata alla supina accettazi- one delle direttive di Bruxelles. Il vero rischio che corre l’Italia è che la crisi economica e sociale si tramuti in una irreversibile crisi istituzionale e di tenuta demo- cratica. Nonostante sia la seconda economia industriale dell’Eurozo- na registra una caduta del PIL for- tissima, 9 punti percentuali persi dal 2007 con oltre 1,2 milioni di posti di lavoro in meno. La platea dei disoccupati, degli inoccupati, degli scoraggiati e dei sottoccupa- ti, è complessivamente di oltre 7 milioni di persone, di cui buona parte sono giovani sotto i 35 anni. Il tasso di disoccupazione giova- nile ha raggiunto livelli inaccetta- bili, oltre il 40%, raddoppiato dal 2007 e ora tra i più alti d’Europa, dopo Grecia, Spagna e Croazia, congresso «Nel contesto italiano i lacci stretti di Bruxelles e la crisi hanno creato un mix drammatico che ha messo in ginocchio l’economia del nostro paese. Il dramma nel dramma è che la politica non è riuscita ancora a dare risposte»

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