Povertà in VDA. Nota introduttiva Novembre 2016
61 facendo un esempio personale di mio figlio che purtroppo per problemi familiari noi stiamo aiutando... Purtroppo per lui, buon per lui che ci siamo noi, però voglio dire, grazie a dio lavora però comunque non ce la fa, non ce la fa». Il riferimento qui è proprio ad uno di quegli eventi “catastrofici” (in questo caso un separazione) che possono aumentare il rischio di caduta in povertà degli individui; anche l’essere occupati non sembra fornire un’assicurazione definitiva contro questo rischio. Diverso il caso di Antonio, che ha dovuto aiutare il figlio proprio a causa della mancanza di occupazione, non senza sacrifici: «il figlio è stato disoccupato per un anno e ho dovuto mantenerlo in pratica […] mantenere il figlio, cioè, dargli proprio i soldi come se fosse uno stipendio... Facendo la cinghia io, facendo la cinghia la sorella, facendo la cinghia tutti... Risparmiavo sulle mie spese personali […] cioè se doveva andare al cinema, oppure una cosa o l’altra, non c’andavo, basta, cioè risparmiavo in quei momenti, per cercare di risparmiare sulle cose che si poteva fare a meno». Anche nell’attuale crisi economica la famiglia rimane dunque il principale ammortizzatore sociale. Effetti potenzialmente molto gravi sono contenuti dalla solidarietà generazionale assicurata da famiglie risparmiatrici, con anziani che godono di pensioni ancora discrete, spesso proprietari della casa di abitazione, che da un lato hanno consentito la permanenza o il rientro in famiglia di giovani in difficoltà lavorativa o con eventi di instabilità coniugale, dall’altro hanno assolto importanti compiti di cura e assistenza verso nipoti o soggetti non autosufficienti 48 . Un aspetto importante legato alla questione degli scambi generazionali, emerso in particolare durante un focus group a prevalenza femminile, è proprio legato al ruolo delle donne in questo sistema, particolarmente di quelle appartenenti alla classe di età delle nostre intervistate, le quali in molti casi si trovano in un certo senso “schiacciate” tra le responsabilità di cura nei confronti di genitori anziani (spesso ultraottantenni, i cosiddetti “grandi anziani”) e le domande di sostegno provenienti dai figli e dai nipoti, ma che sanno che difficilmente potranno beneficiare dello stesso supporto in futuro. Così Giovanna: «io adesso ho con me mia mamma, 88 anni, a tempo pieno perché adesso lei comincia ad avere paura a restare sola, e “Quanto ci stai lì?”, mi ripete diecimila volte, ma questo non è importante, volentieri assisto mia mamma come se fosse la mia bambina, perché ormai son cambiate le cose, però tesoro mio, un domani che mia mamma non c'è più, a me chi mi guarda?!». E Fiorenza: «più o meno la stessa cosa, io ho una mamma di 96 anni a febbraio e non vuole star da sola, se mi muovo: “Dove vai? Torni presto?”, ho mio marito che meno male mi dà una mano, ma mio figlio è in Spagna e quindi lui è là, e io sono qua». Anche Vera ha una storia simile: «ho avuto tutti e due i miei genitori che si sono ammalati, ammalati di Alzheimer, ammalati di demenza senile, come si può dire, e quindi avevo bisogno di una badante, questa badante mi costava tutto quello che mi costava, ma non quello solo, ed ero, cioè, ero qui in ufficio, poi dovevo andare a casa, sabato e domenica, perché se no i soldi non mi bastavano. Poi l’ultima che ho dovuto fare una scelta, se vuole una scelta, che devo dire mi è anche costata e mi ha anche fatto piacere, perché sono diventata nonna a tempo pieno, cioè, mia nuora prima non aveva lavoro, finalmente è riuscita a trovare il lavoro ma se ci dovevano pagare l’asilo nido non ci si poteva, cioè, tutto lo stipendio di mia nuora andava per l’asilo nido, allora ho fatto una scelta, mi sono tenuta le bambine e sto continuando a tenere le bambine e così via ecco. Questo è un po' il discorso, che mi spaventa il futuro, oggi come oggi dico sono ancora in grado di aiutare, ma quanto toccherà a me mio figlio non sarà in grado di poter, almeno, a quanto ne so, visto che gli stipendi sono quelli che sono, non sarà più in grado di aiutare me, e questo mi fa star male, ecco, veramente mi fa star male». Così conclude Giovanna: «Siamo arrivate tutte lì, che oggi come oggi tu assisti i tuoi genitori, tua mamma, quello che è, però a me, personalmente... Non so! La paura nostra è il futuro». Ecco il tema del senso di insicurezza e di vulnerabilità che molti dei partecipanti hanno espresso durante le discussioni: «non c’è più sicurezza di niente, abbiamo perso tutte le nostre certezze, tutte, 48 Mesini D., Ranci Ortigosa E. (a cura di): Povertà, esclusione sociale e politiche di contrasto , I Quid n. 10 PSS, 2011.
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