Povertà in VDA. Nota introduttiva Novembre 2016
4 Il secondo fattore più importante individuato dagli intervistati è l’isolamento fisico e relazionale delle persone, legato in particolare alla frammentazione dei centri urbani (aggravato da collegamenti non adeguati), al problema degli anziani soli e ai nuclei familiari sempre più ridotti. L’isolamento viene anche indicato come conseguenza della situazione di disagio, che porterebbe le persone a non chiedere aiuto, ritirandosi dalle relazioni con gli altri. Al gradino successivo vengono poi indicati, sullo stesso piano, la conflittualità intra ‐ familiare (legata come sappiamo alla crescita del numero di separazioni e divorzi), il problema delle dipendenze e l’abbandono scolastico, mostrando dunque una molteplicità di elementi coinvolti nel fenomeno, legati non solamente alla deprivazione materiale, ma a sfere diverse del benessere degli individui. Quest’ultimo aspetto ha a che fare proprio con la multidimensionalità dell’esclusione sociale, in cui il disagio psicologico dato dalle dipendenze, la mancanza di una rete familiare stabile e di un percorso educativo regolare ed efficace possono tutte essere individuate come causa del processo di impoverimento e delle traiettorie di caduta in situazioni di esclusione che comprendono entro uno stesso insieme più fattori. Si può dunque parlare di complessità e multidimensionalità dell’esclusione sociale: ciò significa che, da un lato, per numerose categorie di persone e di famiglie, l’esclusione può essere generata da una pluralità di cause, le quali agiscono sia sulle capacità produttive, sulla salute e sulla partecipazione sociale dei singoli, sia sull’economia e sulla capacità di auto ‐ aiuto della loro famiglia (come pure sulle capacità di intervento delle istituzioni e delle comunità locali) e dall’altro che il coacervo di cause agisce in interazione, ragione per cui è necessario adottare una prospettiva di analisi quanto più inclusiva. Per quanto riguarda invece la percezione di quali siano le fasce della popolazione più colpite dal rischio di povertà, possiamo notare come siano in particolare tre le categorie individuate dagli intervistati, nell’ordine: i lavoratori precari; i migranti; anziani e giovani (curiosamente a pari merito). Scopo ulteriore dei quesiti era infatti individuare nella popolazione gruppi di persone (tra: anziani, famiglie con un solo genitore, migranti, giovani, lavoratori precari, separati e divorziati, lavoratori dei settori occupazionali tradizionali) maggiormente esposti al rischio di esclusione economica e sociale, questo anche per verificare quanto le testimonianze sul territorio siano in linea con il quadro descritto in precedenza dedotto dai dati statistici aggregati. In particolare, da questi era emerso che durante la crisi la povertà assoluta ha confermato il suo radicamento tra i segmenti della popolazione tradizionali (il Sud, le famiglie con anziani, i nuclei con almeno 3 figli minori e quelli senza componenti occupati), ma è anche notevolmente cresciuta in altri, in passato ritenuti poco vulnerabili: il Centro ‐ Nord, le giovani famiglie, i nuclei con 1 o 2 figli minori e quelli con componenti occupati. In altre parole, il perdurare della crisi, a livello nazionale, ha allargato i confini dell’indigenza nella società italiana, tanto che oggi la povertà è una realtà significativa anche in quei segmenti della società che, in precedenza, ne erano toccati solo marginalmente. Se l’indicazione di gruppi quali anziani e migranti può dunque essere coerente con le rappresentazioni classiche, emerge la novità legata ai giovani e alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, che mina quell’equivalenza tra occupazione e sicurezza socio ‐ economica per cui tradizionalmente i lavoratori attivi non venivano considerati tra i gruppi più a rischio. Per cercare di ricostruire il quadro del contesto oggetto di studio, due domande vertevano poi sulle caratteristiche territoriali dello sviluppo economico e sociale della
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