Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022 9 organizzazione del lavoro (in particolare lavoro notturno, turni di sabato e domenica, movimenti ripetitivi e catena di montaggio). 5. Il sistema pensionistico peggiore d'Europa Il sistema pensionistico universale fu conquistato tra il ‘67 e il ‘69 in un contesto di grandi lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici. Negli ultimi 30 anni, ogni governo ha attaccato quelle conquiste, secondo una strategia internazionale che ridotto il cosiddetto primo pilastro (la pensione pubblica), sviluppando quello privato, in mano al mercato e alla finanza (i fondi di categoria e la previdenza integrativa). Il processo è iniziato nel 1994, quando fu alzata l’età pensionabile, fu eliminato il riconoscimento del lavoro di cura per le donne, furono ridotti i rendimenti attraverso il sistema contributivo e favoriti i fondi privati. Le norme di salvaguardia per i lavoratori e le lavoratrici con almeno 18 anni di contributi sancirono la prima grande divisione tra generazioni. Il colpo di grazia lo ha dato la legge Fornero, che, con gli attuali 67 anni e l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita, ha reso la previdenza italiana la peggiore in Europa. I costi di questa controriforma saranno sempre più evidenti nei prossimi anni, con pensioni che, oltre a essere già le più tassate in Europa, in prospettiva saranno sempre più povere a causa dei coefficienti di trasformazione bassi e dei pochi contributi versati, a causa di un mercato del lavoro in cui i giovani e i precari faticano a entrare. Durante il primo governo Conte, il meccanismo di quota 100 è stato un intervento parziale, provvisorio e illusorio. Ha favorito l’uscita solo di alcuni settori (62 anni di età e 38 di contributi) e congelato l’adeguamento alla speranza di vita per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 per le donne). Nel gennaio 2022, quota 100 è stata sostituita con quota 102 (64 anni e 38 di contributi) e molto probabilmente con quota 104 nel 2023. Così, il problema dell’età pensionabile e delle basse pensioni rimane senza alcuna soluzione. La Cgil ha perso l’ennesima occasione per proporre una riforma generale delle pensioni, capace di tutelare in particolare il lavoro povero e discontinuo. Lo sciopero del 16 dicembre è stato tardivo: quota 102 era già stata decisa, senza opposizione sindacale, con la promessa di un tavolo per il 2023. Un tavolo che è e rimarrà una illusione. Si arriverà alla prossima scadenza senza nessuna risposta. La verità è che sulle pensioni i governi hanno sempre fatto cassa, mettendo strumentalmente i giovani contro gli anziani, mentre in realtà hanno privato le generazioni dopo il 1995 di una prospettiva previdenziale dignitosa. Nemmeno sui lavori usuranti e gravosi si è mai trovata una soluzione. Non c’è nessuno che non sia consapevole di questo. Ma in questi decenni Cgil Cisl e Uil non si sono opposte davvero, basti pensare alle sole 3 ore di sciopero nel 2012 contro l’approvazione della Fornero. Non abbiamo neppure ricercato una soluzione di compromesso nell’ambito del sistema contributivo, ad esempio l’innalzamento dei coefficienti di trasformazione per i salari più bassi, per evitare l’esito di tassi di sostituzione che impoveriscano drasticamente i nuovi pensionati. Chi guadagna 1000 euro non può avere un tasso di sostituzione del 60%, ma deve ritrovare una pensione in linea con gli ultimi stipendi. Si è smesso di pretendere i 60 anni di vecchiaia o i 40 di anzianità, di rivendicare il sistema retributivo, assumendo noi stessi il punto di vista del padrone, cioè che non è possibile. Non è vero. Quello che non è possibile e non è giusto è continuare a lavorare fino a 67 anni e oltre. Quello che non è possibile è ritrovarsi in pensione con poco più di metà del proprio stipendio. Le risorse per banche, imprese, mercati finanziari e spese militari si trovano sempre. Non si trovano mai per le pensioni perché non lo pretendiamo più. La Cgil deve rompere la logica delle compatibilità. Bisogna abrogare la legge Fornero e ogni meccanismo automatico di allungamento dell’età lavorativa. Bisogna ridurre l’età pensionabile, tornare al sistema retributivo, anticipare l’uscita di chi svolge lavori gravosi e usuranti, di chi ha cominciato molto presto a lavorare e di chi svolge anche il lavoro di cura. Bisogna difendere il sistema a ripartizione e separare la previdenza dall’assistenza, respingere ogni forma di decontribuzione. Bisogna rivendicare meccanismi automatici di indicizzazione, per mantenerne costante il potere d’acquisto. Occorre aumentare le pensioni minime con riferimento ai contributi versati e aumentare le pensioni di chi ha le retribuzioni più basse. In particolare, va difesa la condizione delle donne, sia delle attuali pensionate (generalmente più povere), sia di quelle future, senza meccanismi penalizzanti, come è stata Opzione donna. Bisogna rivendicare l’integrazione contributiva e retributiva dei periodi di maternità e i congedi parentali.
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