Congresso XIX documento 2

Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022 7 stesso sito di lavoro, con effetti negativi per tutti/e, sia salariali che di sicurezza. Negli ultimi anni, a fronte di scarsi aumenti nei contratti nazionali, il sindacato ha preferito seguire altre due strade, entrambe fallimentari. Innanzitutto si è accodato alla generale richiesta al governo di riduzione delle tasse, alimentando l'illusione di un salario netto superiore in busta paga, ma a costo di un’erosione delle entrate e conseguenti tagli allo Stato Sociale. In secondo luogo, ha accettato di rimandare parte degli aumenti al secondo livello della contrattazione, quello aziendale, meno diffuso proprio dove i salari sono generalmente più bassi, cioè nelle piccole imprese, al Sud e nei settori ad occupazione prevalentemente femminile. Questo ha avuto l'effetto di incrementare i differenziali salariali complessivi, sia territoriali che di genere, ma anche di aumentare le differenze tra i settori e tra le diverse dimensioni di impresa. Inoltre ha rinforzato una logica fondata su indicatori variabili e incerti, legati alla produttività, alla presenza e alla “meritocrazia”, che rischia di divenire, anche nel settore pubblico, strumento arbitrario di controllo e divisione della forza lavoro. Mantenere i salari nazionali bassi e pensare di recuperare la produttività al secondo livello ha anche un altro rischio, assai insidioso: quello di consegnare direttamente alle aziende il potere salariale, attraverso superminimi individuali, straordinario o elargizioni collettive unilaterali, distribuite paternalisticamente come regalie. Al tempo stesso, si è affermata la pratica del welfare contrattuale, in particolare i fondi sanitari e pensionistici, persino nel settore pubblico. Tutto ciò è stato utilizzato per rendere meno evidente l'abbassamento complessivo dei salari, ma ha alimentato indirettamente la sanità privata e reso più povere le pensioni per effetto dei minori contributi versati. È ora di cambiare radicalmente questa linea, di riprendere una politica di lotta, di rifiutare la moderazione salariale, di rivendicare aumenti più alti dei minimi contrattuali anche con piattaforme separate se necessario e di mettere in discussione, nel privato, i vincoli dettati dalle imprese, a partire dall’IPCA; nel pubblico, il Patto per l'Innovazione di Brunetta e le leggi che limitano il diritto di sciopero nei cosiddetti servizi essenziali. Il contratto nazionale deve tornare a essere uno strumento universale e solidaristico di crescita del salario per tutte/i. Bisogna rivendicare aumenti fissi e certi e pretendere la riforma della rappresentanza, impedire i contratti pirata e la competizione sleale negli appalti. Nel settore pubblico, dobbiamo tornare alla piena contrattualizzazione superando i vincoli imposti dal decreto 165/2001. Un deterrente importante allo sfruttamento può essere un salario minimo che determini una paga oraria certa, dignitosa e sotto la quale nessun lavoro possa essere svolto, a patto che non sia un modo per aggirare le condizioni normative dei contratti nazionali, ma invece lo strumento per tutelare le retribuzioni dal dumping contrattuale di alcuni settori e il volano per rafforzare la contrattazione in senso generale, spingendo verso l’alto le retribuzioni di tutti/e. Infine occorre ripensare a una nuova scala mobile, cioè un meccanismo di recupero automatico dell'inflazione. La Cgil deve mettere questa rivendicazione al centro della sua strategia: per rafforzare la contrattazione nazionale, serve oggi più che mai un meccanismo che all’aumento dei prezzi faccia seguire un aumento automatico dei salari, come era la scala mobile che ci è stata tolta 30 anni fa. 4.2 Lavorare meno, lavorare tutte/i! È ora anche di riprendere il controllo dei tempi e degli orari di lavoro nei contratti nazionali, perché, dopo 30 anni, non soltanto si guadagna di meno, ma si lavora di più e peggio. La moderazione salariale ha dato alle imprese la possibilità di aumentare lo sfruttamento, utilizzando la leva della precarietà e dei bassi salari per imporre a tutti/e un maggior controllo di orario, ritmi e carichi di lavoro più elevati, con ricadute anche sulla sicurezza e la salute di chi lavora. Nel privato, soprattutto nella produzione manifatturiera, questo ha corrisposto a un aumento dello straordinario, dei ritmi e della flessibilità imposta. Nei servizi, ha preso la forma di una pericolosa destrutturazione dell'orario, con part time in larghissima parte imposti, soprattutto alle donne, e di conseguenza salari ancora più bassi, scarsissimo controllo dell'orario e lo sdoganamento di turni spezzati, domenicali e festivi. Nei servizi pubblici, questo ha significato il pieno controllo delle direzioni su lavoro, flessibilità e performance, agevolato dal cedimento sindacale rispetto a quegli istituti contrattuali che consentivano di contrattare orari e organizzazione. I lavoratori e le lavoratrici devono recuperare il controllo della prestazione e dell'orario di lavoro, tornare a

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