Congresso XIX documento 2

Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022 3 prova le condizioni di vita del mondo intero, aumentando le disuguaglianze tra chi sfrutta e chi è sfruttato. In questo quadro, sono 59 i conflitti aperti nel mondo. La guerra in Ucraina, l’unica di cui si parla, è uno spartiacque, che ridisegna aree economiche, alleanze politiche e blocchi militari contrapposti intorno ai principali poli imperialisti del mondo. Una dinamica che accelera i nazionalismi, il riarmo generalizzato e politiche economiche di guerra. Le conseguenze della guerra sono pagate amaramente dalle popolazioni, a cominciare da quella ucraina, colpita direttamente. La ferma condanna dell’invasione russa è imprescindibile, ma non basta. Bisogna individuare e rimuovere le diverse cause che l’hanno determinata e opporsi a tutti coloro che hanno interesse nel proseguire la guerra, a partire dalla NATO e dalla sua strategia di espansione e di riarmo che ha alimentato la tensione. La guerra e le sanzioni, nel quadro della competizione mondiale e delle speculazioni sui mercati, hanno finito per colpire la popolazione, accentuando in Russia, in Europa e nel mondo disoccupazione, diseguaglianze e l’impoverimento dei salari, mentre gli Stati Uniti, perseguendo i propri obiettivi di potenza, esportano in misura maggiore e a un prezzo più alto il loro gas, prodotto con enormi devastazioni ambientali. La Cgil deve promuovere un movimento generale contro la guerra, in relazione e in supporto alle organizzazioni sindacali di ogni paese che lottano contro i nazionalismi e le logiche di questo conflitto. Dobbiamo mobilitarci per l'uscita dell'Italia dalla Nato, contro l’invio di armi, il riarmo e la politica bellicista del governo Draghi. Dobbiamo continuare e aumentare il nostro impegno nella raccolta di aiuti umanitari alle popolazioni coinvolte nella guerra, nel sostegno all’accoglienza degli uomini e delle donne profughe e dei disertori. La nuova crisi sta rallentando la crescita cinese e colpirà i paesi periferici, mentre fra quelli avanzati le conseguenze peggiori saranno sopportate da chi, come l’Italia, ha già debiti elevati. Tutto questo precipita sulla UE, dopo decenni di politiche liberali fatte di austerità, privatizzazioni, scelte antipopolari e contro il lavoro. La gestione stessa della crisi economica, della pandemia e ora della guerra, oltre a rendere palesi le contraddizioni interne, conferma il ruolo di subalternità dell’EU agli interessi del capitale finanziario. Si annuncia una crisi ancora più difficile da contrastare e gli strumenti fino ad oggi pensati, come il rialzo dei tassi della Fed e prossimamente della Bce, determineranno lo strangolamento dell’economia reale, favorendo la finanza e colpendo i consumi. Le conseguenze di tutto questo saranno drammatiche, non solo in termini di vite direttamente colpite dalla guerra, ma anche per le carestie che saranno causate dalla rarefazione delle materie prime e per l’impennata inflazionistica (basata sull’espansione del debito e le politiche monetarie per gestire la crisi dell’ultimo decennio, innescata dalla ripresa post-pandemica ed esacerbata dalla guerra), che sta già determinando effetti dirompenti sui salari e sulle condizioni di vita dei ceti popolari. Anche gli impegni assunti dalle grandi potenze per rallentare la catastrofe ambientale, già insufficienti, finiscono, per essere vanificati. La logica che li sottendeva, in realtà, non era tanto la salvaguardia del pianeta, quanto il profitto dei grandi investitori. Con la guerra, questi impegni vengono ulteriormente stravolti da scelte energetiche scellerate e si ricomincia a parlare di ritorno al carbone, al nucleare, alle trivellazioni nel mare e alle forme più invasive di estrazione del gas, con conseguenti ulteriori devastazioni ambientali. Gli effetti della crisi saranno durevoli e faranno emergere un’economia globale profondamente diversa dal passato per specializzazioni e aree geografiche. Al generale impoverimento della popolazione corrisponderà un arricchimento sempre più insostenibile e quasi esente dal carico fiscale delle aziende globali e di una ristrettissima fascia di multimiliardari. Il drastico peggioramento delle condizioni di vita popolari, in assenza di una speranza di cambiamento e di riscatto del lavoro, rischia di alimentare i governi reazionari e sovranisti e i sistemi politici in cui, anche grazie a una informazione asservita alla politica, si sviluppano strutture tecnocratiche che esautorano i Parlamenti, anche contro gli orientamenti della maggioranza della popolazione. L’Italia è particolarmente coinvolta in questo scenario da “economia di guerra”: l’impennata inflazionistica e l’ulteriore riduzione dei salari, la ripresa delle politiche di privatizzazione e di tagli alla spesa pubblica, la riduzione della crescita, la carenza e il rincaro delle materie prime che rischia di causare il rallentamento e la chiusura di migliaia di aziende impattano su un sistema produttivo già debole. Un sistema che era già uscito

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