Congresso XIX documento 2

Definitivo – Direttivo CGIL, 20 giugno 2022 11 È necessario un piano straordinario di assunzioni in sanità, a partire dal reclutamento immediato di almeno 100mila professionisti sanitari e medici e la stabilizzazione di tutti i precari/e. I loro salari, tra i più bassi in Europa, devono aumentare. Va contrastata la precarietà di migliaia di operatori e operatrici del settore, che, a causa dei processi di aziendalizzazione e privatizzazione, hanno condizioni di maggiore sfruttamento: a parità di lavoro devono corrispondere le stesse condizioni normative e lo stesso salario. Per rilanciare la prevenzione bisogna sviluppare la rete sanitaria territoriale, compresa quella non ospedaliera, investendo sull’assistenza domiciliare, i medici di base, la riabilitazione e tutti i servizi specialistici, la gestione delle patologie croniche e delle dipendenze, le case della salute. La pandemia ha ulteriormente dimostrato che è fondamentale investire sulla ricerca sanitaria pubblica, che non può essere precaria. La ricerca sanitaria italiana si regge, invece, sul lavoro precario di lunghissima durata. I ricercatori e le ricercatrici devono essere stabilizzati. La Cgil deve schierarsi per la sospensione dei brevetti nella ricerca scientifica e sanitaria, come strumento non soltanto di equità ma di salute pubblica globale. La tutela della salute non può essere subordinata alla protezione della proprietà intellettuale, tanto più quando i brevetti sono frutto di una ricerca sovvenzionata dai sistemi pubblici. La salute non può avere confini, tanto meno può diventare motivo di business per le grandi multinazionali farmaceutiche. 6.3 No alla sanità integrativa La difficoltà della sanità pubblica di rispondere ai bisogni delle persone ha spalancato la strada alle privatizzazioni e alla sanità integrativa. Non è la mancanza di risorse economiche a determinare questo processo, ma una strategia per consentire a grandi gruppi economici di lucrare sulla pelle delle persone. La sanità integrativa regge solo se a usufruirne sono in pochi. Ha come primo obiettivo il profitto e non la salute delle persone. Non integra la sanità pubblica ma al contrario la sostituisce e indebolisce. Tra l’altro, la crescita delle prestazioni manda in crisi i fondi stessi come nel caso di Metasalute (il fondo contrattuale dei metalmeccanici), che, dopo anni di respingimenti pretestuosi e disservizi, ha quasi rischiato il default, scaricandone poi i costi sugli aderenti, attraverso l’introduzione di ticket. La Cgil deve disdettare la sanità integrativa nei contratti nazionali. 6.4 No a ogni autonomia differenziata La pandemia ha messo ulteriormente in luce gli effetti nefasti della regionalizzazione, della differenziazione dei servizi sanitari e della loro qualità su base territoriale. La regionalizzazione è stata una delle ragioni dell’inefficienza della campagna vaccinale. Ciononostante, molte Regioni, in testa Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, hanno continuato a chiedere l’applicazione dell’autonomia differenziata. L’autonomia differenziata sarà un disastro, aumenterà i danni della regionalizzazione già determinati dalla modifica del Titolo V della Costituzione e il già enorme divario tra Nord e Sud del paese. Ciascuna Regione gestirà in proprio parte delle risorse in competizione con le altre, le persone avranno diritti e servizi diversi a seconda del territorio in cui risiedono. La sanità verrà ulteriormente indebolita, la scuola perderà la propria unicità e unitarietà, lo stesso contratto nazionale sarà rimesso in causa, mentre si svilupperanno nuove privatizzazioni e un ulteriore aumento delle diseguaglianze. Questo iniquo progetto di divisione del paese va fermato e la Cgil deve mettere in atto una decisa opposizione all’autonomia differenziata, in ogni sua forma. 6.4 Per un’assistenza pubblica e universale Da anni si assiste all'aumento progressivo di persone anziane non autosufficienti e/o disabili, a cui non corrisponde un adeguato incremento dei finanziamenti necessari all’assistenza sanitaria. Durante la pandemia, tanti decessi tra anziani/e e personale di Rsa, Case di Riposo, Aziende di Servizi alla Persona (Asp) e cooperative sociali si sarebbero evitati se diverse Regioni non avessero preso la decisione scellerata di trasferire i malati di Covid non più ospedalizzati nelle Rsa e se, in generale, ci fosse stato un vero piano di emergenza e degli investimenti pubblici sui servizi. La rete di assistenza domiciliare alla persona deve garantire, se richiesta, la permanenza della persona non autosufficiente all’interno del proprio domicilio. L’accesso ai servizi, la presa in cura del soggetto, la definizione di percorsi personalizzati devono mantenersi rigorosamente di competenza del servizio

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