La disuguaglianza e i divari generazionali, di genere e territoriali sono aumentati, la precarietà del lavoro è diventato un eterno presente, al punto che si è poveri anche lavorando. Dentro questo difficile contesto abbiamo svolto, negli anni che abbiamo alle spalle, la nostra iniziativa con il Piano per il Lavoro, la Carta dei Diritti, i referendum, il Sindacato di Strada e una diffusa azione di contrattazione collettiva e vertenziale e abbiamo voluto affermare la centralità del lavoro, della sua qualità, dei sui diritti. Nel pieno della pandemia, anche attraverso la mobilitazione abbiamo strappato risultati importanti: Sui protocolli su salute e sicurezza, frutto anche dell’impegno unitario e del ruolo fondamentale svolto dalle delegate e dai delegati e dagli RLS nei comitati aziendali e territoriali; sulla tutela dei redditi e sul blocco dei licenziamenti; sul rinnovo di importanti contratti nazionali, con aumenti salariali che hanno superato l’inflazione e con importanti conquiste normative; sugli Appalti pubblici, stabilendo che i lavoratori in subappalto hanno le stesse tutele economiche e normative dei lavoratori delle ditte appaltatrici e sul ripristino della clausola sociale; sui Protocolli sulle opere pubbliche, sul lavoro pubblico, sulla scuola e sull’attuazione del PNRR ai quali -in particolare gli ultimi due- bisogna dare attuazione; Inoltre, abbiamo dato vita a vertenze aziendali, di gruppo e territoriali a difesa del lavoro e contro le delocalizzazioni. Non abbiamo esitato a ricorrere, insieme alla UIL, allo sciopero generale lo scorso 16 dicembre quando su fisco, lotta alla precarietà, mezzogiorno, politiche industriali, pensioni, non ci sono state risposte o, se ci sono state, non andavano nella direzione da noi auspicata. È il momento di investire sul lavoro e sulla sua qualità, a partire dalla formazione permanente, un diritto fondamentale da conquistare con la nostra azione contrattuale, se non si vogliono subire le nuove forme di disuguaglianza di cui, l’esclusione dal sapere, rappresenta la forma più discriminatoria. Per questo le lavoratrici e i lavoratori devono conquistarsi il diritto di parola sulla natura degli investimenti, sulle scelte strategiche e sui modelli organizzativi delle imprese. Si tratta di pensare a nuove forme di democrazia economica per un nuovo protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori e per far sì che la Costituzione non rimanga fuori dai cancelli dei luoghi di lavoro. Non nascondiamoci che, insieme ai risultati raggiunti e alle tante esperienze positive di cui siamo protagonisti, permangono evidenti difficoltà. Per questa ragione nell’Assemblea Organizzativa di Rimini abbiamo deciso di cambiare il nostro modello organizzativo, guardando alla persona, non solo nell’esercizio del suo lavoro ma anche della sua condizione sociale complessiva lungo tutto l’arco della vita, investendo sulla digitalizzazione e la comunicazione, su un piano straordinario di formazione, allargando e ripensando la nostra capacità di rappresentanza nei luoghi di lavoro e nel territorio, nelle filiere produttive, estendo la democrazia e la partecipazione e indicando nuovi contenuti dell’azione contrattuale. Ora tocca al Congresso completare il cambiamento necessario. LA COMPLESSITÀ DELLA CRISI Siamo nel pieno di una crisi sistemica che investe l’intero assetto delle relazioni sociali, politiche, economiche e pone a rischio l’equilibrio e la convivenza tra umanità e natura. Un quadro reso ancora più difficile dal fatto che da tempo le forze politiche tutte, stentano a rappresentare le istanze del mondo del lavoro e ad esprimere di conseguenza un credibile progetto di cambiamento. Cambiamento da fondare su tre capisaldi: la piena occupazione, la libertà nel lavoro intesa come riconquista della propria condizione di lavoro che è il vero asse di lotta alla precarizzazione, un nuovo stato sociale pubblico e universalistico. 2
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