licenziamenti e antecedentemente l’accordo sul terreno fiscale. Quel modello negoziale deve essere preso a riferimento per affrontare le sfide del salto tecnologico, della transizione ambientale e demografica e dell’aggravarsi delle polarizzazioni e delle disuguaglianze. Serve un cambio di paradigma che si basi su di un nuovo contratto sociale con un forte riconoscimento della funzione negoziale e contrattuale nell’ambito delle politiche pubbliche. Tale riconoscimento è ancora più importante alla luce delle risorse di Next generation EU e dei fondi strutturali a tutti i livelli: in questo senso il Protocollo sottoscritto il 23 dicembre scorso e l’accordo di Partenariato che avvia il nuovo ciclo di programmazione, rappresentano un primo importante passo. Occorre però che tale funzione sia garantita, regolamentata e negoziata attraverso un Protocollo anche negli ambiti e per le scelte ordinarie di decisione dei processi di innovazione economica, sociale, tecnologica, e di riconversione ecologica, sia a livello territoriale che a livello nazionale in un quadro di regole chiare e condivise, non limitando l’autonomia del sindacato né l’esercizio del conflitto che rimane strumento fondamentale di mobilitazione dei lavoratori. Inoltre l’innovazione, i processi di transizione, la trasformazione del modello produttivo passano anche da scelte che faranno tutte le imprese, e soprattutto quelle che in questa fase hanno un ruolo strategico. A partire dal vasto sistema delle società a controllo pubblico, appare incomprensibile l’assoluta resistenza al coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori a processi che avranno un impatto enorme non solo sul personale di quei settori, ma su tutte le comunità. Per tali ragioni il tema della partecipazione alle decisioni, così come previsto dall’articolo 46 della Costituzione, acquista una rilevanza straordinaria per il mondo del lavoro che rappresentiamo. Il governo del cambiamento, in quest’ottica, passa anche dal prevedere e anticipare i contraccolpi sociali che derivano da scelte spesso necessarie, dal contribuire all’indirizzo delle attività delle imprese verso modelli sostenibili che tutelino le persone e l’ambiente. Legge sulla rappresentanza, democrazia e partecipazione. Incrementare gli spazi di democrazia e di partecipazione del mondo del lavoro è stata sempre una priorità per il nostro sindacato, un risultato spesso conquistato attraverso dure lotte che hanno portato a straordinari obiettivi negoziali sia sul versante dei Contratti nazionali, sia della contrattazione di secondo livello, sia sul versante degli Accordi confederali. È una strategia da portare avanti anche introducendo elementi di innovazione contrattuale: si tratta innanzitutto di rafforzare il diritto all’informazione preventiva sui cambiamenti, sugli investimenti, sui processi di ristrutturazione, sulle innovazioni nelle organizzazioni del lavoro; e al tempo stesso di individuare degli spazi di co-determinazione nei quali le lavoratrici e i lavoratori (attraverso le loro rappresentanze) abbiano il diritto di incidere su questi processi e sulle scelte strategiche. È evidente che l’assenza di chiari riferimenti legislativi in applicazione di diversi principi costituzionali non abbia favorito l’ingresso della Costituzione nei luoghi di lavoro e, anzi, abbia incentivato le peggiori culture autoritarie e paternaliste del sistema imprenditoriale. In alcuni casi queste stesse culture hanno spacciato la partecipazione agli utili come un modello inclusivo, immediatamente contraddetto dall’avversione a forme di consultazione. Anche per queste ragioni, un quadro legislativo, come da noi proposto nell’ambito della Carta dei diritti universali del lavoro, in grado di fissare regole per la certificazione della rappresentatività, anche dei datori di lavoro, nonché di rafforzare il diritto all’informazione e il diritto alla partecipazione alle decisioni rappresenta ancor di più oggi una priorità del movimento sindacale. 16
RkJQdWJsaXNoZXIy NTczNjg=