16 17 Antonella Roncarolo accoglienza, nella sua forma più pura, si svela nei romanzi come un rifugio per l’anima, una stanza degli ospiti che accoglie non solo il corpo ma anche le storie e le fragilità di chi varca la soglia. I romanzi che propongo in questo spazio intrecciano le sfumature dell’ospitalità in una narrazione che riscopre continuamente il significato di apertura e accoglienza, insegnandoci che una stanza è molto più di un luogo di sosta temporanea: è un’entità viva, un luogo di incontro tra l’etica dell’accoglienza e l’intima capacità di empatia con l’altro. Il primo spunto è da una piéce teatrale della scrittrice inglese Agatha Christie, colei che ha inventato il genere investigativo della stanza chiusa. Ne “L’ospite inatteso”, la stanza dove il protagonista viene accolto, si carica di tensione e mistero, trasformandosi in un luogo dove l’ospitalità, tinta di sospetto e segreto, diviene quasi un personaggio a sé stante. Il mistero che si snoda attraverso le pagine della Christie trova un singolare eco nei racconti intrecciati del libro “Olive Kitteridge” della scrittrice americana Elizabeth Strout. La protagonista Olive del romanzo, interpretata nella serie HBO dalla straordinaria attrice Frances McDormand, con la sua indole complessa e a tratti burbera, si rivela come un inaspettato rifugio per coloro che cercano comprensione. La delicatezza dell’ospitalità si manifesta con una forza particolare nel romanzo “Mi chiamo Lucy Barton”, anch’esso della Strout, dove il silenzio sterile di una stanza d’ospedale si trasforma in un santuario di cura, condividendo e accogliendo le storie di una madre e una figlia. La fragilità di Lucy, avvolta in racconti e ricordi, si lega all’ospitalità trasformandola da semplice concetto a vissuto emotivo, una connessione che sfida il distacco e il dolore del passato. La scrittrice irlandese Anne Enright scrive nel 2015 il romanzo “La strada verde”, proseguendo questo viaggio attraverso il nucleo familiare, dove la casa della famiglia Madigan diviene teatro di un raduno natalizio che porta alla luce tensioni a lungo sopite. La famiglia si riunisce, e il calore dell’accoglienza cerca di risanare le ferite della distanza e del tempo, tessendo un ricamo di rapporti che si intrecciano tra affetto e conflitto. In contrasto, la dimora che accoglie Tess nel romanzo di fine ottocento “Tess dei D’Urbervilles” dello scrittore inglese Thomas Hardy si rivela essere un rifugio effimero, un luogo di speranza che si contorce in inganno e tradimento. La giovane Tess, attraverso le tappe della sua fuga, si confronta con varie forme di “ospitalità” che mascherano le intenzioni oscure di chi detiene il potere, delineando un ritratto amaro della sua vulnerabilità e della crudeltà del mondo che la circonda. In conclusione un romanzo gotico e del terrore, anch’esso scritto alla fine del diciannovesimo secolo. “L’Isola del dottor Moreau” di H.G. Wells incarna un’ospitalità distorta e corrotta, dove le promesse di accoglienza si perdono tra gli echi di un laboratorio di orrori. Qui, il concetto di ospitalità si spezza, mostrando come sotto la vernice di civiltà possa nascondersi una realtà di sperimentazione e dominio. L' TITOLO L’ospite inatteso AUTORE Agatha Christie CASA EDITRICE Mondadori TITOLO Olive Kitteridge AUTORE Elizabeth Strout CASA EDITRICE Fazi Editore TITOLO Mi chiamo Lucy Barton AUTORE Elizabeth Strout CASA EDITRICE Einaudi TITOLO L’Isola del dottor Moreau AUTORE H.G. Wells CASA EDITRICE Feltrinelli TITOLO La strada verde AUTORE Anne Enright CASA EDITRICE Bompiani TITOLO Tess dei D’Urbervilles AUTORE Thomas Hardy CASA EDITRICE Rizzoli accoglienza presuppone sempre un atteggiamento favorevole verso “l’altro”. La condivisione è facile e immediata per chi è vicino, per affetto e stima. Il problema si pone per chi chiede aiuto, perché è in difficoltà. Le difficoltà possono essere intervenute per colpa, per circostanze sfavorevoli, per condizioni naturali. Nel 2008 così scrivevo: «Almeno 200 mila cittadini di etnia tamil dello Sri Lanka settentrionale negli ultimi 8 mesi hanno dovuto abbandonare le loro case, per una campagna militare dell’esercito contro i guerriglieri delle Tigri per la liberazione della loro patria. I civili alla ricerca di scampo vagano nella giungla o tra le risaie. Particolarmente drammatica è la sorte delle madri con bimbi piccoli. I centri di accoglienza Caritas, le comunità, i centri servizi sono stati sommersi da ondate di persone, famiglie, gruppi in cerca di un tetto e di cibo. È sembrato che un tam tam diffuso abbia inondato il Paese. Stranieri, rom, senza dimora, minori, famiglie italiane: tutti hanno chiesto aiuto. Non è facile capire che cosa sia successo. Sembra che i luoghi di residenza non offrano nemmeno il minimo necessario: da qui la forza della disperazione per andare a cercare altrove. Questa sensazione non è campata in aria. Le amministrazioni locali, per scelta, per mancanza di fondi, per rigidità, hanno intrapreso la strada della cosiddetta “tolleranza zero”. Tradotto significa: non mi occupo di persone che vagano, che non hanno cittadinanza, che sono troppo povere e non hanno futuro. Le cosiddette ordinanze dei sindaci hanno prodotto i loro effetti: cacciare dai territori chi non è di quel territorio. Lo sconcerto che deriva da questa filosofia è che troppe persone sono senza riferimento. Nessuno si prende carico di una massa che vaga in Italia e in Europa. Vengono in mente le migrazioni del Medioevo, di cui parlano gli storici: «Pellegrini, nullafacenti, delinquenti attraversano l’Europa e sono un vero flagello». Recentemente ritornavo sullo stesso tema: «Accogliere presuppone attenzione, sensibilità, gratuità e rispetto. Il significato dell’accoglienza si può coniugare in molti modi; le caratteristiche rimangono uguali. L’attenzione si fonda sul preoccuparsi di chi vive accanto. Chi vive chiuso nei propri interessi impedisce ogni relazione, anche se, nella vita odierna, è impossibile non avvertire problemi, bisogni, povertà, solitudini. Da qui la sensibilità ad agire per attutire sofferenze. Senza calcoli: con generosità si può concorrere, se non a risolvere, almeno ad alleviare sofferenze. Ogni epoca registra fenomeni sociali ai quali le istituzioni non sono in grado di intervenire, addirittura senza avvertirne la gravità. L' La recente storia sociale del nostro paese, a partire dalla metà degli anni Settanta, ha visto fiorire sensibilità e iniziative per problemi sociali fino ad allora gestiti poco e male. L’elenco è lungo, caratteristico dei cambiamenti di quegli anni. Povertà, immigrazioni, abbandoni, violenza, dipendenze, sofferenze psichiatriche sembravano essere esplose tutte in una volta. In quel contesto si attivarono iniziative, molte delle quali provenienti dal mondo cattolico, per la verità, poco studiate e poco ricordate. Eppure, produssero effetti talmente ampi e significativi, da cambiare il modo di vivere e di affrontare i disagi sociali. Una vera rivoluzione, proveniente da piccoli modelli che dimostrarono che era possibile intervenire positivamente sulle situazioni di disagio. Il sorgere dei gruppi e delle comunità ebbe quasi sempre la stessa matrice: un religioso o religiosa, con un gruppo di volontari, sperimentarono metodi diversi di sostegno. Le caratteristiche di quei metodi ebbero come fondamento il rispetto della persona, con la propria storia. A seconda della problematicità si usarono metodi educativi, capaci di liberare dalle cause del disagio: molta attenzione si dedicò alle dipendenze. Si scontrarono anche visioni diverse sulle cause dell’uso di sostanze stupefacenti. Già allora si discuteva se il tossicodipendente fosse un deviato, un delinquente, un malato, un giovane in difficoltà. La scelta giusta - a distanza di tempo si conferma - è stata quella di considerare sempre e comunque, ogni persona problematica, come persona. L’obiettivo era raggiungere il risultato dell’autonomia e della liberazione dalle sostanze. Molti risultati positivi dettero ragione a quel metodo. Così con i minori, con i ristretti nelle carceri, per chi era sbandato o senza futuro. Il cammino degli inizi non fu facile: iniziare da zero, dovendo trovare casa, operatori, risorse economiche, metodi efficaci richiesero umiltà, sufficiente capacità critica, senza abbandonare i fondamenti dell’operare nel sociale. Ci furono anche sconfitte: solo l’esame pacato e profondo delle singole situazioni portarono alla sicurezza di camminare sulla strada giusta. A seguito di iniziative coraggiose iniziarono gli interventi delle pubbliche amministrazioni. Quei gruppi, nel tempo, sono stati sottoposti a regole, condizioni, strutture che lo Stato esige, trattandosi di impegni pubblici. Purtroppo, dopo la fase pionieristica, è seguito un cambiamento del comune sentire che ha abbassato l’attenzione ai grandi problemi sociali, diventati, nel frattempo, complessi e di portata nazionale. Il lavoro, il problema della casa, le immigrazioni, la libertà suggerita dalla rete, la pandemia, la guerra ucraina e recentemente di Israele, l’inflazione hanno ingigantito le problematicità. Le disuguaglianze, nel frattempo, sono aumentate e non sembrano fermarsi. La reazione, anche della pubblica amministrazione, non è all’altezza di risposte adeguate: le disparità tra i forti e i deboli sono aumentate. Né, ed è il più grande problema, si hanno idee e volontà di accettare il cambiamento e porvi rimedio. Due ambiti di vita sociale sono attualmente in grande difficoltà: gli adolescenti e gli anziani. Dell’adolescenza tutti parlano, senza saperla affrontare. Ragazzi cresciuti nell’alveo iperprotettivo delle famiglie sono in ricerca della propria identità, sbattuti tra le proprie emozioni e una società che li vuole ricchi e celebri. Stentano a sognare futuro; non conoscono le vie della crescita. I più fortunati e dotati corrono verso una sistemazione che li collochi sulla zona alta della vita sociale, molti altri rischiano di diventare massa informe e senza futuro. Gli sviluppi chiedono persone preparate, efficienti, specializzate; molti non avranno queste caratteristiche, destinate così a vivere ai margini della vita sociale. Gli anziani, nonostante l’allungamento della vita sia alla portata di tutti, rischiano l’insignificanza, per gli stessi motivi che affrontano gli adolescenti. Sono considerati un peso: invocano una morte repentina, o addirittura procurata, per non essere di inciampo alle future generazioni, dai vincoli affettivi e giuridici precari. Se vivranno una lunga fine invalidante, costituiranno un numero senza nome, in appositi luoghi a loro proposti, invocando la morte. Lo spirito pionieristico dell’accoglienza non va abbandonato: forse aggiornato, a condizione che non si perdano i principi umani e solidi del rispetto di ogni persona, in tutte le fasi della vita. È auspicio, ma anche impegno». Recentemente l’accoglienza ha assunto una dimensione nazionale. I nostri giovani emigrano, il clima glaciale delle nascite, la mancanza di professionalità, il lavoro povero suggeriscono vite di stenti. Gli affitti alle stelle non risparmiano nemmeno gli studenti universitari: alcune città sono diventate irraggiungibili. Il nodo dell’accoglienza lambisce il mondo, l’Europa, il nostro paese: se non si attuano politiche accoglienti gli anni che verranno saranno un grande problema per tutti: società chiuse, autoreferenziali e vecchie in età sono destinate all’estinzione. La rigidità del non accogliere è indice di declino: una cultura, avvitata su se stessa, incapace di leggere ciò che l’attende. Purtroppo, le conseguenze sono terribili; c’è da scegliere tra la siccità, l’invasione, la sopravvivenza. Siamo ancora in fase di transito: la coscienza esige di intervenire, senza perdersi in stupidi dettagli con l’illusione del presente che appare felice. Le teorie del “postumano” che la letteratura americana ha già sollevato – dominio delle economie dei grandi gruppi finanziari, l’avanzare dell’hi-tech, l’evolvere del gender - rischiano di diventare giochi di alcuni accademici oggi privilegiati.1 1 Cfr. R. Braidotti, Il postumano – La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, Roma, DeriveApprodi, II ediz., 2020 Accogliere/Condividere LA STANZA DEGLI OSPITI DonVinicio Albanesi ” Il nodo dell’accoglienza lambisce il mondo, l’Europa, il nostro paese: se non si attuano politiche accoglienti, gli anni che verranno saranno un grande problema per tutti: società chiuse, autoreferenziali e vecchie in età sono destinate all’estinzione. “ CONSIGLI DI LETTURA
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