Itaca n. 18

5 Vita No Profit Qui Ucraina La salute è liberarsi dall’odio Elena Mazzola Elena Mazzola è presidente di una Ong ucraina, Emmaus, una comunità che si occupa della cura e dell’assistenza a bambini e ragazzi disabili o problematici, ed agli orfani del conflitto che dal 2014 dilania il Donbass. Elena, con la sua comunità, è arrivata in Italia qualche settimana prima dell’inizio dell’aggressione russa con un avventuroso viaggio, ed ora vivono insieme in due palazzine a Milano, zona Bovisa. ono sempre stata con gli ucraini, vivo con loro, sono scappata con loro, questo vuol dire un livello di sofferenza personale che qui non si percepisce. Sentire da quasi un anno, ogni giorno, intorno a te la minaccia della morte è cosa pesante per me e pesantissima per i miei amici. Parlare di pace mentre da quasi due anni bombardano la tua casa sembra assurdo. È chiaro che noi desideriamo la pace: e il desiderio più grande che ho io e che hanno gli amici ucraini con cui vivo. Pace per noi è poter tornare a casa, riprenderci quello che c’è stato strappato da un giorno all’altro con la forza, ritrovare quello che resta di ciò che era la nostra vita. Siamo in guerra, noi viviamo ogni giorno dentro la guerra, quella per cui abbiamo amici al fronte, amici morti combattendo, amici sotto le bombe da mesi, anziani che vivono al freddo e senza elettricità, gente in ospedale che viene bombardata, mentre noi che siamo qui ci sentiamo come in esilio, strappati dalla nostra terra, dai nostri affetti e dal nostro lavoro e non sappiamo se e quando potremmo tornare a casa. Quando tanti miei amici dicono “Noi non possiamo non odiare”, io rispondo: vi capisco, ma non possiamo non lasciare aperto uno spiraglio; possiamo dire: “Adesso non riusciamo a non odiare”, ma dobbiamo capire che, se l’odio diventa il nostro orizzonte e se insegneremo ad odiare, distruggeremo noi stessi ed il nostro popolo. E loro replicano: “Ma i nostri bambini già odiano, già dicono dobbiamo ammazzare tutti i russi”. Ci sono stati dialoghi intensi, finché una delle mie ragazze, Tanja, se ne è uscita con una frase che ha stordito tutti. Tanja ha un ritardo mentale non grave ed una invalidità fisica anch’essa non grave, ed ha questa storia: famiglia umile di Kharkiv, mamma e papà e tre figli, di cui due, Tanja e un fratello, non camminavano per una forma di paralisi cerebrale. Quando aveva cinque anni, il papà si impicca e lei vede il cadavere del papà trascinato via. Un anno dopo, il nuovo convivente della mamma la uccide nella stessa casa. Dopo di che Tanja va in orfanotrofio e, dopo molti anni, ci incontra e comincia a vivere con noi. Ora è con noi in Italia, è stupenda e cammina pure grazie alla fisioterapia. Ecco, Tanja partecipa ad una di queste discussioni ed improvvisamente interviene e dice: “Eppure io con Emmaus ho fatto un’esperienza d’amore così grande che sono riuscita a perdonare l’uomo che ha ucciso mia mamma”. Noi non avevamo mai messo a tema questo problema del perdono dei russi, ma lei ha un’esperienza tale che ha capito che non si può essere felici se non perdonando. In Manzoni, a cui ho dedicato un libro (“Manzoni tra Mosca e Kiev”, edizioni Scholé, ndr), nel dialogo tra Fra Cristoforo e Renzo c’è proprio questa idea. Fra Cristoforo spiega a Renzo che, se non arriva a perdonare davvero, non può essere felice e le nozze non si compiono. Quando capisci che sei amato, arrivi a perdonare l’imperdonabile. In contemporanea, in un incontro difficilissimo e molto duro in cui la nostra psicoterapeuta Natalja dialogava con i russi del Memorial (premio Nobel per la pace 2022, ma pur sempre russi…), alla domanda su cosa augurasse per il suo popolo, lei ha risposto così: “Auguro al mio popolo di essere abbracciato, auguro al mio popolo di fare un’esperienza di amore ed un’accoglienza così grande (aveva raccontato a loro l’episodio di Tanja) da poter un giorno perdonare”. Io ho tanti amici russi, con quelli che fanno discorsi tengo il silenzio, quelli che hanno bisogno li aiuto, magari perché sono scappati, ma niente discorsi. Con gli ucraini andiamo ad accoglierli, ecco gesti non discorsi. Il tentativo che facciamo ora in Italia è di raccontare a tutti di questa possibilità, e stiamo facendo memoria ognuno secondo i tratti della sua storia personale, di aver fatto la stessa esperienza di amore che ha fatto Tanja: persone che ci hanno dato gratuitamente le loro case, altri che ci portano da mangiare, altri che ci aiutano a trovare lavoro. Papa Francesco ci ha detto che “lo stile di Dio è la vicinanza”. Così capita anche che, mentre oggettivamente la pace non c’è, la pace in noi e tra di noi ci sia. Penso che l’esperienza di Tanja ci renda responsabili verso tutto il popolo dell’Ucraina, i nostri ragazzi che hanno subito tante violenze, possono portare tanto bene, l’Ucraina ha bisogno dei nostri ragazzi. S

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