13 umanità è la sola specie vivente i cui membri hanno coscienza di essere fragili, parzialmente infermi, soggetti a dolore e votati alla cessazione radicale, ovvero alla morte. La capacità d’essere cosciente del dolore fa parte di quella adattazione autocritica all’ambiente che chiamiamo la salute dell’uomo. La salute è la sopravvivenza in un ben-essere che sappiamo relativo ed effimero. Questa salute suppone la facoltà di assumersi una responsabilità personale di fronte al dolore, all’inferiorità, all’angoscia e infine alla morte. Essa è in rapporto con il significato attivo dell’individuo nel corpo sociale: e in questo senso la “salute” del feto o del lattante somiglia ancora a quella di un coniglio o di un gatto. La salute dell’uomo ha sempre un tipo di esistenza definita socialmente. In generale, essa s’identifica alla “cultura” di cui tratta l’antropologia: ovvero quel programma di vita che assegna ai membri di un gruppo la capacità di porsi di fronte alla loro fragilità e affrontare, sempre nella provvisorietà, un ambiente circostante composto di cose e di parole più o meno stabili. La cultura è un “nido” necessario alla sopravvivenza; non è un mero complesso di modelli di comportamento concreti come costumi, usi, tradizioni, abitudini… ma è un insieme di meccanismi, di progetti di regolazione codificati, di piani, regole e istruzioni. In quanto animale affrancato dal determinismo genetico dei suoi istinti, l’uomo ha bisogno, estremo bisogno, di una regolazione che gli sia esteriore, e senza la quale non potrebbe mantenere l’equilibrio vitale di fronte al fallimento. In altri termini: ogni cultura è una delle forme possibili della vitalità umana. Con l’orientarne il comportamento, la cultura determina la salute: ed è solo con l’edificazione di una cultura che l’uomo trova la salute. Ogni cultura elabora e definisce una maniera particolare d’essere umano e d’essere sano, di gioire, di soffrire e di morire. Ogni codice sociale è coerente con una costituzione genetica, una storia, una data geografia e la necessità di confrontarsi con le culture limitrofe. Il codice si trasforma in funzione di questi fattori, e con lui si trasforma la “salute”. Ma ad ogni istante il codice serve da matrice all’equilibrio esterno e interno di ogni persona – genera la cornice in cui s’articola l’incontro dell’uomo con la terra e con i suoi vicini, così come il senso che l’uomo dà alla sofferenza, all’infermità e alla morte. È ruolo essenziale di ogni cultura viva quello di fornire delle chiavi per l’interpretazione di queste tre minacce, le più intime e fondamentali che vi siano. Più questa interpretazione rinforza la vitalità di ogni individuo, più reale è la pietà verso l’altro, più si può parlare di una cultura sana, di vero ben-essere. Questo potere generatore di salute, inerente ad ogni società tradizionale, è profondamente minacciato dallo sviluppo della medicina contemporanea. L’istituzione medica è una impresa professionale, ha per matrice l’idea che il ben-essere esiga l’eliminazione del dolore, la correzione di ogni anomalia, la sparizione delle malattie e la lotta contro la morte. Essa rinforza gli aspetti terapeutici di altre istituzioni del sistema industriale e assegna delle funzioni igieniche sussidiarie alla scuola, alla polizia, alla pubblicità e addirittura alla politica. Il mito alienante della civilizzazione medica cosmopolita riesce a imporsi ben al di là dell’ambito in cui l’intervento del medico si manifesta. L’eliminazione del dolore, dell’infermità, delle malattie e della morte è un obbiettivo nuovo che fino ad ora non aveva mai servito come linea di condotta per la via di una società. È il rituale medico e il suo mito corrispondente che hanno trasformato dolore, infermità e morte da esperienze essenziali, a cui ognuno deve adattarsi, in una serie di scogli che minacciano il ben-essere e che obbligano ciascuno a ricorrere incessantemente a un consumo di prodotti la cui produzione è monopolizzata dall’istituzione medica. L’uomo, organismo debole, ma munito di una capacità innata di recupero, diviene un meccanismo fragile sottomesso a una continua riparazione. Da qui, la contraddizione che oppone la civilizzazione medica dominante a ogni cultura tradizionale con la quale si trovi confrontata quando irrompe, in nome del progresso, nelle campagne o in paesi cosiddetti sottosviluppati. Le culture tradizionali traggono la loro funzione igienica dalla loro capacità di sostenere ogni uomo confrontato al dolore, alla malattia e alla morte conferendo a tutto ciò un senso, organizzando la loro presa in carico da parte dell’individuo stesso o della sua cerchia più vicina. L' Ben-essere vs medicina Yann Nguema, Gravity Ad Ivan Illich, anarchico cristiano, scrittore e pensatore austriaco, dobbiamo un libro come fondamentale, “Nemesi medica”, scritto nel 1976, nel quale ha lanciato il suo atto d’accusa contro la “medicalizzazione” dell’esistenza umana. Eccone alcuni brevi passaggi che approfondiscono la parola scelta come titolo di questo numero di Itaca. Ivan Illich
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