Itaca n. 17

7 Biennale 2023 Ognuno appartiene agli altri in dall’inizio abbiamo immaginato il Padiglione Italia come una piattaforma per dare voce a quella generazione di progettisti, a cui sentiamo di appartenere, che interpreta un approccio alternativo alla disciplina. Siamo una generazione cresciuta in un contesto di crisi permanente – prima quella economica, poi quella sanitaria, ora quella geopolitica ed energetica, domani quella climatica – questa scarsità al netto della retorica non solo è un’opportunità, ma è anche l’unico contesto nel quale abbia senso operare. La fragilità strutturale del contesto italiano, caratterizzato dalla cronica carenza di lavoro e da una sovrabbondanza di progettisti, acuitesi negli ultimi dieci anni, è stata lo sprone per definire pratiche che applicano strumenti e prassi codificate dell’architettura a nuovi campi di applicazione. Il tessuto urbano è stato in gran parte costruito e gli architetti secondo noi devono assumere il ruolo di ricucire l’esistente, piuttosto che di creare nuovi manufatti. Le sfide che sentiamo come progettisti sono cambiate. L’Italia, inoltre, è uno dei Paesi in cui c’è un’eccezionale densità di architetti (uno ogni 400 persone, mentre in Cina il rapporto è di uno a 40mila). Ciò fa sì che un gran numero di architetti italiani abbia poche possibilità di lavorare sul territorio. L’architetto diventa così più un regista, un mediatore tra una rete di intelligenze, che contribuisce ad estendere lo spazio pubblico: molti progetti che abbiamo presentato a Venezia lavorano su una geografia spesso dimenticata. I nostri invitati hanno avuto la capacità, ad esempio, di trovare spazio pubblico sulla facciata laterale di una chiesa, a Marghera, che dal 1997 viene usata anche come parete per arrampicare. In provincia di Chieti, in Abruzzo, un ospedale abbandonato ha subito un processo di risignificazione diventando il Parco dell’Uccellaccio, dove un percorso in sicurezza consente di visitare l’edificio e ricollocarlo all’interno del paesaggio. Ogni progetto S Ama Festival “Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri”: è il titolo (bellissimo) del Padiglione italiano alla Biennale Architettura 2023, affidato alla cura di un collettivo di giovani architetti con base a Milano, i Fosbury. Hanno preso il loro nome dal celebre atleta americano che ha rovesciato la tecnica del salto in alto, introducendo il salto di schiena. Il Padiglione di Venezia è il loro salto alla rovescia: hanno rinunciato a gran parte del budget a disposizione, hanno concepito il grande spazio espositivo come osservatorio sull’attivazione di nove azioni site-specific diffuse in tutto il territorio italiano e promosse grazie al supporto della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Tutte azioni che hanno come minimo comun denominatore quello della “cura” di manufatti già esistenti, che vengono riconcepiti. A loro la parola. Collettivo Fosbury, Padiglione italiano dellla Biennale di Architettura diVenezia, 2023 presentato in Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri è una micro storia che tocca temi che su scala globale rappresentano delle sfide impossibili, come il multiculturalismo, la transizione ecologica, quella digitale e alimentare. Ma se vengono sviluppati in una dimensione territoriale più piccola, allora diventa possibile avere delle soluzioni tangibili. La narrazione è quindi un modo per dare un nuovo senso all’esistente. A Venezia abbiamo concepito qualcosa di diverso rispetto al passato. Non abbiamo pensato ad un’esibizione, ma ad un’azione. L’idea è mostrare come grandi temi sociali, che faticano a trovare soluzioni a livello globale, possano invece essere affrontati nel locale. Spesso per fare una mostra di architettura bisogna legarsi a dei media: un modellino, foto, altre forme di rappresentazione. Non si può prendere un edificio e portarlo dentro uno spazio espositivo. Noi abbiamo pensato avesse più senso creare una relazione con le comunità, provare a inserirsi nel contesto e lasciare qualcosa. Accendere una miccia.

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