Itaca n. 16

8 «Un posto pieno di grazia». Cinzia e Pelagie sotto lo stesso tetto Anna Spena a che significa “casa”? «Per me è un rifugio. Il posto dove mi sento confortata. Un posto che mi somiglia. Anche quando sono in giro per lavoro, anche quando sono in un albergo che non mi sembra bello, io cerco di sistemare le cose che ho attorno, le sistemo perché voglio che abbiano una grazia. Ecco, la casa per me è un posto pieno di grazia. E spero che dopo un anno insieme a noi anche per Pelagie sia lo stesso. Spero che si senta in un posto pieno di grazia». Il racconto è di Cinzia Caviglia, che insieme a suo marito ha deciso di aprire le porte della loro casa per accogliere una persona con lo status di rifugiato che, una volta uscita dai percorsi istituzionali, non sapeva dove andare. Quella di Cinzia, 62 anni, e Pelagie, 33, è prima di tutto la storia di una scelta. «Ho letto da Facebook», racconta Cinzia Caviglia, «di un’associazione che metteva in contatto rifugiati e migranti con famiglie disposte ad accoglierli in casa, così mi sono iscritta». La realtà di cui parla e di cui ora fa parte Cinzia si chiama Refugees Welcome, un’organizzazione indipendente che promuove la mobilitazione dei cittadini per favorire l’inclusione sociale di rifugiati, rifugiate e di giovani migranti arrivati in Italia. Un progetto che coinvolge 30 città in 17 regioni, 200 attivisti e da cui sono nate 500 convivenze. «Viviamo a Roma e abbiamo una figlia e un figlio che non stanno più in casa con noi. Quando ci chiedono “perché?”, perché abbiamo preso questa decisione, la risposta è sempre la stessa: nascere in Italia e vivere una condizione agiata non è un merito. L’accoglienza ci deve riguardare tutti», racconta Cinzia. «Credo poi ci sia, almeno nel mio caso, anche una questione emotiva, personale. Vengo da una famiglia di origine ebraica, e ricordo gli ebrei che scappavano dalla Germania e dalla Polonia. Persone che sono state rimandate indietro con la giustificazione “non sappiamo dove metterli”. Ecco io vengo da una famiglia salvata da persone che hanno aperto la porta della loro casa a mia madre e ai suoi fratelli senza che li conoscessero. Dovevo fare anch’io un atto di restituzione». Pelagie arriva dalla Repubblica Democratica del Congo, quando aveva 17 anni un gruppo di banditi è entrato in casa sua per una rapina e hanno sparato a vista sui genitori, i fratelli, le sorelle, anche lei è rimasta coinvolta. Si pensava fosse l’unica sopravvissuta fino a quando, dopo 15 anni da quella sparatoria, ha scoperto che la sorella gemella era ancora viva. «Quattro anni fa è arrivata in Italia perché aveva bisogno di un complicato intervento dovuto alle conseguenze della sparatoria. E poi ha iniziato l’iter per chiedere lo status di rifugiata». Dopo l’iscrizione alla piattaforma, Cinzia riceve una mail da Refugees Welcome che gli propone un incontro, poi arriva la proposta di abbinamento con Pelagie. Il primo incontro con lei è avvenuto in un bar romano con i responsabili dell’organizzazione presenti. «Ci siamo piaciuti abbastanza, ma la sua bellezza mi metteva un po’ a disagio, non sapevo se sarei stata in grado di gestirla. Ma lei è una persona speciale, discreta, affettuosa, partecipa alla vita quotidiana, mi piace disegnare gli abiti, lei li cuce e mi fa da modella. In Congo lavorava come operatrice sanitaria, adesso è in attesa che il titolo le sia riconosciuto anche in Italia. Per noi è parte della famiglia e rimarrà qui finché non troverà una soluzione autonoma. All’inizio pensavo che avesse bisogno di uno spazio, un frigo, un posto per dormire. Invece no, l’accoglienza in famiglia è tutta un’altra cosa. E lei fa parte dell’armonia di questa casa, della grazia». M

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