Itaca n. 16

6 Tornare ad Itaca canto dell’Odissea Alessandra Morelli “Un’Odissea”: il linguaggio comune esprime così qualsiasi, lunga avventura che ci abbia fatto dubitare di poter giungere, integri, dove i nostri piedi, o il nostro cuore, avrebbero voluto. L’“Odissea”, letteralmente “storia di Odisseo”, Ulisse, è un poema incommensurabile. La vicenda di un uomo coinvolto in una guerra sanguinosa, che non avrebbe mai voluto combattere e che lo terrà lontano dalla sua terra, da sua moglie, da suo figlio, dal suo cane per più di vent’anni. Toccare le sponde di Itaca, la patria, la casa, diventa, così, un viaggio di ritorno appassionato, che Ulisse intraprende toccando il lato più oscuro di sé, l’inganno, il tradimento, l’orgoglio. Perdendosi più volte ed altrettante ritrovandosi. Soprattutto, mostrando una sorprendente ostinazione nel voler cercare una logica degli eventi, che riesca a tradurre quel suo ineluttabile destino di migrante. vamente utilizzato è ágnoston, ovvero “non conoscibile dal pensiero umano”. Il testo greco sembra affermare, cioè, che la conoscenza, per quanto vasta, sia uno strumento limitato quando dobbiamo accogliere la rivelazione della realtà. Un’esperienza che richiede, invece, un rovescio dello sguardo: Perciò dunque ogni cosa al sovrano appariva diversa: i lunghi sentieri e i porti di facile approdo e le rupi scoscese e gli alberi rigogliosi. (XIII, 194-196) Ulisse calpesta la riva di Itaca come un attore inconsapevole della sua vita. Nella terra che prima lo inneggiava come re, adesso c’è chi lo chiama népios, “sciocco”, e xénos, “straniero”. In questo senso, il cammino alla ricerca di una patria a cui tornare, sia essa un’isola o una condizione dell’animo, passa sempre attraverso una denudazione. Non è Itaca che è diventata irriconoscibile, ma Ulisse che si è trasformato in un altro uomo, reduce, smarrito, invecchiato. Soltanto allora Atena, sotto le spoglie di un pastore, rivelerà al protagonista che la terra in cui si trova non è affatto ignota, come egli crede: e ne gioì il molto paziente divino Ulisse. (XIII, 250) Così, l’uomo diventa degno di tornare a casa nella misura in cui, durante tutto il suo viaggio, avrà saputo esercitare la pazienza. Un’attitudine magnificamente suggerita dall’aggettivo polùtlas, che significa “sono diventato coraggioso perché ho molto sopportato”. Resistere per ottenere la propria parte di gioia. Non un punto di arrivo, ma una linea di partenza. Proprio nel tratto di mare che, finalmente, lo sta riconducendo ad Itaca, l’eroe, però, cade in un sonno profondo. È in questo momento che egli dice addio per sempre alla parte fantastica delle sue avventure, che lo ha portato a contatto con dèi, esseri mostruosi e popoli esotici. A subentrare è Itaca, la realtà quotidiana, con la quale, dopo tanto tempo, dovrà tornare a confrontarsi. All’arrivo, Ulisse viene deposto sulla spiaggia. Cosa ci sarebbe stato di più bello di concludere il viaggio senza fatica, nel sonno, e, svegliandosi, vedere che si è a casa? Invece la narrazione sceglie una direzione inattesa: E lui si svegliò, il divino Ulisse, che dormiva nella sua patria terra, e non la riconobbe. (XIII, 187-188) Convinto di essere in una terra sconosciuta e potenzialmente ostile, egli dà voce al suo profondo sconforto: Ahimè, nella terra di quale gente questa volta sono giunto? Sono costoro violenti e selvaggi e senza nozione del giusto oppure ospitali e nell’animo timorosi degli dei? (XIII, 200-203) Risvegliatosi in una terra che non riconosce, l’eroe incarna il viaggio dell’umanità intera, che si sente morire se inciampa in nuovo errore che rimanderà, ancora, il desiderato ritorno. Anche Ulisse è irriconoscibile ai suoi concittadini: la dea Atena ha riversato sulla terra di Itaca una foschia che impedisce a chiunque di vedere. Il termine significatiChristoph Büchel,“Barca nostra”, nave recuperata nel Canale di Sicilia dopo il naufragio del 18 aprile 2015, esposta alla 58esima Biennale diVenezia (2019).

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