Itaca n. 16

3 Abitare, cioè custodire Silvano Petrosino Il grande filosofo tedesco Martin Heidegger nei suoi scritti aveva lanciato questa ipotesi: “io sono” significa “io abito”, o anche: l’uomo esiste, come uomo, in quanto “abita”. All’interno di questa visione, l’abitare si configura non come una tra le molte azioni umane, ma come l’orizzonte che avvolge e ordina il tutto dell’agire umano. Ogni azione umana sarebbe, proprio in quanto umana, una forma o un’espressione o una manifestazione dell’abitare. Come bisogna intendere una simile ipotesi? Per rispondere a questo interrogativo bisogna rinviare allo specifico modo di essere dell’uomo. Come ha sottolineato con particolare forza proprio il grande filosofo tedesco, l’uomo non è un semplice ente tra gli enti, il suo modo d’essere non è paragonabile a quello degli altri enti; di conseguenza ogni riflessione sull’umano esige una preliminare analisi del suo proprio modo di esistere. L’uomo è l’“aperto”; egli è “l’esposto” ad un’alterità non assumibile; il suo modo di essere è quello dell’irriducibile sollecitazione e dell’insistente riapertura a qualcosa di diverso, di altro da sé, ma che lo supera. È l’inquietudine originaria della condizione umana. Il cerchio, immagine perfetta dell’inarrestabile e monotona lotta per la sopravvivenza che inchioda tutto ciò che vive, non è un simbolo adeguato allo specifico modo d’essere dell’uomo. Quest’ultimo non è più cerchio, egli è l’andante, il sempre aperto, è essenzialmente homo viator. Da questo punto di vista l’affermazione secondo la quale “c’è dell’altro”, deve essere interpretata come un’affermazione propriamente umana, unicamente umana, e come tale è segno della sua stessa spiriMassimo Uberti, Spazio Amato, 2020 tualità: l’essere umano è un essere spirituale perché il suo modo di essere è quello dell’“aperto”, dell’“andante”, dell’“esposto a”, del trovarsi fin dal principio in movimento verso l’altro come altro. Che cosa c’entra tutto questo con l’abitare? A tale questione si deve rispondere seguendo l’indicazione che proviene dall’ipotesi lanciata da Heidegger: l’uomo esiste e vive come uomo, solo in quanto “abita”. Ma ora si può precisare che egli abita proprio perché è la sua stessa esperienza che impone un “qui ed ora”, che non è mai separabile dall’alterità di un “là ed altrove”: mentre l’individuo vivente vive, il soggetto umano fa esperienza del vivere, vive facendo esperienza della vita, e tale esperienza sempre si struttura intorno e in riferimento alla misura non misurabile dell’alterità. Questo legame inscindibile è ciò che propongo di definire religiosità essenziale: è il tratto che illumina il senso più profondo dell’abitare umano; in effetti, in termini rigorosi si deve affermare che l’uomo “abita”, e non semplicemente “esiste” o “vive”, in quanto e perché egli stesso “è abitato”. O anche che l’esperienza umana dell’abitare non può mai prescindere dal fatto che il soggetto stesso, l’abitante, è a sua volta abitato da ciò che lo investe, dall’inquietudine di un’eccedenza dell’alterità che egli in nessun modo è in grado di ordinare e porre sotto controllo. «Essere uomo significa essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare. L’antica parola tedesca “Bauen”, secondo la quale l’uomo è in quanto abita, significa però anche, nello stesso tempo, custodire e coltivare il campo, coltivare la vigna». Così scrive sempre Martin Heidegger. Nel proporre una simile definizione mi sembra che il filosofo non abbia fatto altro che riprendere, commentare e sviluppare, senza mai tuttavia citarlo, un versetto della Bibbia e precisamente quello del Genesi dove si dice che «il Signore Dio prese il uomo e lo pose nel giardino dell’eden, perché lo coltivasse e lo custodisse». Probabilmente è proprio questa la definizione di abitare che stiamo cercando: abitare vuol dire coltivare e custodire; l’uomo esiste e vive come uomo non perché sta nell’esistenza e vive la vita, ma perché abita: e abita perché al tempo stesso coltiva e custodisce sia l’esistenza che la vita. Cerchiamo di approfondire il senso di questa definizione. Il coltivare esprime il tratto più esplicitamente attivo e proiettivo, se così posso esprimermi, dell’agire umano: l’uomo, che come ogni altro vivente viene gettato nell’esistenza e nella vita senza poterlo decidere, tuttavia non subisce semplicemente l’esistenza e la vita, ma decide ed interviene su di esse, le trasforma, prende l’iniziativa nei loro confronti modificandole secondo la misura di quei segni o sogni che costituiscono la trama stessa della sua sensibilità e della sua intelligenza, cioè della sua umanità. In tal senso l’abitare implica un costruire che non si limita mai ad un meccanico assemblare materiali e forme già dati, poiché esso, oltre ad inventare nuovi materiali, genera la forma stessa del luogo in cui l’uomo si trova ad abitare.

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