Itaca n. 16

2 ono uscito da Casa Ama dopo tre anni. Mi hanno detto che dovevo provare a percorrere la mia strada, non vivendo più nella Comunità sulla collina, ma io fuori mi sentivo un disadattato, le mie fragilità si amplificavano, avevo la folla dentro il cuore. Dopo quindici giorni che ero uscito, ho fatto una rapina a viso scoperto in una farmacia, sono entrato con un taglierino e mi sono fatto dare tutto l’incasso. Con i soldi mi sono sfondato di cocaina, invaso dalla paranoia e dai mostri, effetto tipico dell’abuso di tale sostanza. Poi sono andato in spiaggia, ho scavato una buca e mi ci sono sotterrato: avevo bisogno di una “casa” che coprisse i miei fantasmi, di un luogo che non fosse la mia testa, dove far abitare i mostri che invadevano la mia anima. I carabinieri mi hanno trovato lì, in quella spiaggia, naufrago della mia casa, la barca che mi permetteva di navigare senza farmi affogare nel mare dei miei deliri, della mia bipolarità.ˮ Ora Andrea è in carcere da tre anni, prima a Marino del Tronto e poi nel carcere di Ferrara. La prima volta che sono andato a trovarlo, mi ha detto “finalmente dormo”: voleva dirmi che in quel luogo, dove ogni principio di dignità umana viene calpestato, dove si è rinchiusi da porte e sbarre, lui era riuscito anche a rinchiudere la sua malattia mentale o quanto meno era riuscito a contenerla. L’ho seguito e lo seguo come posso, con colloqui, con lettere, con videochiamate, anche ogni settimana, ed il filo conduttore è sempre stato il suo voler ritornare a vivere a Casa Ama. Un luogo difficile, abitato da uomini e donne, dove la fragilità è invincibilità, dove si cerca ossessivamente la domanda e non la risposta, un luogo che si trasforma in un non luogo, dove anche le mura raccontano frammenti di gioie e di dolori che diventano insegnamenti. È qui che ha trovato e può ritrovare “il suo equilibrio sopra la follia”. Andrea ci insegna che ognuno di noi ha bisogno di un luogo fisico dove tornare, ma soprattutto di volti da guardare, perché è nell’altro che troviamo la nostra dimora, una casa che sia la “farmacia” della nostra anima. Francesco Cicchi “S Una casa, “farmacia” della nostra anima

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