14 E se bastasse una capanna? Dialogo con Leonardo Caffo Cabanon, Le Corbusier, 1951 La capanna come alternativa all’abitare di stile borghese? No. Trovo stucchevole il moralismo dell’abitare alternativo fatto dalle proprie case più o meno borghesi; certo, se per esperimento mentale l’umanità diminuisse drasticamente e costruisse in legno le proprie case come capita in alcune regioni del Sud-Est asiatico, molti problemi sparirebbero… ma stiamo – ipocrisia e tiritera squallida a parte – davvero parlando di questa cosa? Non credo. Dunque, nessuno me ne voglia: orti sinergici, merda di vacca per costruire le mura, sono tutte simpatie umoristiche del pensiero occidentale contemporaneo con quel suo insopportabile “si stava (abitava?) bene quando si stava peggio”. Il mio obiettivo, attraverso lo studio filosofico di alcune vite incredibili culminate nella costruzione di una capanna, non era un invito a fare capanne museali: bene anche essere stato interpretato così, ma non è il mio pensiero. Era piuttosto un invito a immaginare capanne e dunque “collassi” tra vita e azione in cui davvero il nostro ordinario modo di concepirci come umani viene completamente fatto fuori. Vi sembra che un po’ di orti simpatici o capanne mostrate come animali in uno zoo possano svolgere questa funzione? Ovviamente no. Ci fa un esempio di uno di questi “collassi” possibili? I quattro tentativi che ho esplorato nel libro sono anche tentativi di scollegarsi da una “rete” che oggi appare piú presente e reale che mai. Un acronimo ormai abbastanza diffuso è IoT, Internet of Things. Si tratta del modo in cui viene identificata l’estensione di internet al dominio delle cose, degli oggetti quotidiani ma anche dei luoghi fisici – una rete non piú soltanto metaforica ma fisica, che rende gli oggetti dotati di un’intelligenza piú o meno forte, grazie al fatto di poter comunicare dati attraverso noi stessi accedendo a informazioni aggregate «Quattro capanne, o della semplicità»: è il titolo di un libro che Leonardo Caffo, filosofo e scrittore, ha pubblicato nel novembre 2020, all’indomani dell’esperienza un po’ traumatica per tutti del lockdown (il libro è stato pubblicato da Nottetempo). L’idea è molto semplice. Caffo ricostruisce l’itinerario di quattro personaggi che nella loro vita hanno scelto la via della semplicità che porta, per un periodo della loro vita, ad avere come casa una capanna. Sono il pensatore e scrittore americano Henry David Thoreau, per due anni, due settimane e due giorni, dal 4 luglio del 1845; il matematico e terrorista Theodor ‘Unabomber’ Kaczynsky dal 1971 alla sua cattura nel 1996; il grande architetto Le Corbusier dal 1952 al 1965, anno della sua morte in mare proprio davanti al Cabanon progettato per la moglie Yvonne Gallis. Discorso a parte riguarda la capanna di Ludwig Wittgenstein, nascosta dentro il fiordo norvegese di Lustra, nella quale il filosofo cercò tante volte rifugio a partire dal 1914, quando abbandonò l’Università di Cambridge. Leonardo Caffo da parte di altri. E se la rete prendesse il sopravvento? La profezia di Stephen Hawking nota come “Singularity” avvicina piú del previsto la letteratura fantascientifica di Philip K. Dick alla realtà: potranno un giorno le macchine evolversi fino a mettere in scacco le nostre volontà? A me in realtà questo scenario, abbastanza inverosimile, interessa poco; ciò che trovo interessante riguarda invece l’impossibilità di una vita semplice e genuina nel dilagare di una rete che si è trasformata da strumento di consumo a consumo dei suoi stessi strumenti (noi). Tra le quattro storie che racconta nel libro, c’è anche quella di un grande architetto, Le Corbusier, che nella sua vita ha sempre progettato case, con grande attenzione alla loro abitabilità e al dato umano del costruire. Come si spiega questa sua scelta di ritirarsi nel Cabanon? Le Corbusier ha già 64 anni quando fa questa scelta e la sua esistenza, come il suo progetto, è ormai compiuta: la semplicità che emergerà in questa terza immagine di una vita possibile non è una strategia di fuga, ma di uscita. Soddisfatto fino alla sazietà della fama e del denaro che gli ha portato, autore riconosciuto di un’autentica rivoluzione architettonica planetaria, legge un nuovo e definitivo modo di vivere. Il Cabanon, prefabbricato in Corsica, arriva via nave e treno a Cap Martin. Si sposta, cioè, dal contesto sociale a quello naturale. Le Corbusier comincia a comprendere che ciò che diventa sempre più interessante ai suoi occhi è lo spazio esterno alla costruzione, dove inizierà di fatto a trascorrere le sue giornate… Alla fine della sua vita, nelle sere d’estate di fronte alla capanna, Le Corbusier non era più un architetto, era l’architettura stessa: come nelle storie zen, l’oggetto della sua esistenza si era trasformato nel soggetto.
RkJQdWJsaXNoZXIy NTczNjg=